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Uno spettacolo o un funerale?

Accogliamo con gioia in questo spazio un articolo di Katia Corsentino, tirocinante presso InformAmuse.


Ricorre proprio oggi il 350° anniversario dal giorno del grandioso Funerale  a Filippo IV Asburgo di Spagna.

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Oggi quando qualcuno muore è facile saperlo con le nostre tecnologie che viaggiano veloci.

Ma nel 1666 come facevano?

Di certo non si scambiavano sms o si collegavano ai social network, nè erano presenti gli apparecchi televisivi per poter apprendere le notizie dai TG e quotidiani. Ogni comunicazione, cronaca di un evento o memoria, viaggiava molto lentamente, quasi solo sulla carta. Sicuramente c’erano degli oggetti che ricoprivano un ruolo molto importante e fondamentale come “custodi di racconti”, e ancora oggi, a dir la verità lo fanno.

I Libri!

Alcuni manoscritti avevano un ruolo molto impegnativo: tramandare e divulgare non solo i fasti e le virtù di note personalità a capo del Regno, ma anche quello di registrare e tramandare la memoria dell’evento stesso ai posteri, attraverso testi, immagini, e descrizioni dei luoghi.
Grandi, a volte grandissimi libri che raccontano le memorie dei defunti e le celebrazioni funebri, ricchi di dettagli e talmente precisi che sembra quasi di poterle vivere. Ci si entra dentro, possiamo ascoltarne le musiche, sentire quegli odori, osservare un mondo lontano anni dal nostro che in verità è molto vicino; a volte basta solo aprire un libro e sognare un po’, immergersi in esso e andare alla ricerca di qualcosa di inesplorato.

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È quello che è successo con “Le solennità Lugubri e Liete” il libro che racconta il funerale di  Filippo IV,  che è stato scovato in biblioteca dal gruppo di BookAlive.

La celebrazione commemorativa durò nove giorni e fu itinerante in molte chiese di Palermo. Come se i quartieri volessero tutti dare un proprio contributo, sentirsi parte integrante della comunità e celebrare le memorie di Filippo. Parteciparono anche moltissime cariche politiche, dal Vicerè, ai giurati e senatori. Anche l’affluenza del popolo fu molto significativa.

E’ grazie ai testi ritrovati, a quei testi che si pensava fossero dimenticati  in un angolo, che si può fare amicizia con il passato e capire le ragioni di determinate azioni, capire più da vicino certi aspetti della vita di centinaia di anni fa.

In questo volume su Filippo IV ci si perde come in uno sfarzo di colori e suoni, il funerale diventa una grande festa. Iniziato come una commemorazione funebre, si trasforma in una gioia, un grande giubilo per il nuovo eletto, Carlo II, quattro anni.

Il contrario di ciò che è avvenuto 350 anni fa a Palermo è quello che avviene in queste sere di febbraio, durante il festival di Sanremo. Un intrattenimento, un puro svago di un paio d’ore di buona televisione. E’ quello che dovrebbe essere. Invece si rivela spesso una grande noia.

Trecentocinquanta anni fa si metteva in scena un funerale per utile divertimento, oggi si fa una festa per dormire.

Un funerale senza feretro

Tutta la storia del libro sul Funerale di Filippo IV di cui ci stiamo occupando è ricca di consistenti sorprese.

La prima, apparentemente banale, è che manca il feretro.

Nell’incisione  della processione che illustra il libro non c’è nessuna bara, neanche vuota.
Ma allora, se non c’è il morto, chi si accompagna?
Nessuno, è una processione per farsi vedere.

Tutti sapranno di essere lì per commemorare un illustre defunto, un Re, il Re Pianeta, come fu chiamato, un Imperatore Mondiale.

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Ma siccome in realtà lui è già morto parecchio tempo prima ed è stato inumato nel famosissimo e lontanissimo Escorial, il funerale di Palermo è teatro dell’assurdo. Oppure semplice comunicazione promozionale della struttura del potere.
Ed è proprio quello che fu: teatro della politica, rappresentazione del potere, festa popolare per dire addio ad un Re lontano e salutare quello che viene, è già venuto, è già sul trono. Dobbiamo fargli sapere che il suo popolo lo ama (e in primo luogo i suoi delegati).

Noi che siamo cittadini del XXI secolo possiamo sorridere beffardi al pensiero di un funerale in cui non c’è il morto, ma allora non c’era Internet, nè la radio e neppure la televisione. Esistevano i libri a stampa dalla metà del ‘400 ma chi li leggeva? Quasi nessuno.

Una notizia come la morte del Re si diffondeva rapida, passando di bocca in bocca, ma lasciava un vuoto: che è successo? Adesso, che succederà?

L’ultima domanda è la più grave per un amministratore locale del potere: il popolo non deve chiedersi cosa succederà perchè sarebbe pericoloso. Specie in province come quella siciliana, sempre infestate da moti e rivoluzioni, la percezione di un potere amministrativo e militare debole poteva essere causa di effetti devastanti. Il popolo invece deve sapere che non accadrà nulla. E lo deve sapere presto e nel modo più convincente possibile.

E come farlo se non con un bellissimo funerale che celebra il defunto, lo esalta, lo sublima come se fosse già ospite del paradiso, e nello stesso tempo annuncia il nuovo Re già insediato?

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La situazione doveva essere precaria.
Perchè mentre Filippo IV giaceva nella tomba monumentale dell’Escorial, a Palermo dovevano circolare le voci sulla salute cagionevole di Carlo, suo unico figlio maschio di appena quattro anni. Di lui si diceva (è lecito immaginarlo) che fosse perennemente in bilico tra la vita e la morte, che fosse tanto minorato da non aver nemmeno imparato a parlare e che la reggenza sarebbe stata assunta dalla famosa Regina Maria Anna D’Asburgo, madre naturale del piccolo Carlo.

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C’erano quindi tutte le possibili premesse perchè nelle lontane province dell’Impero si avessero timori circa una lunga fase di sangunose lotte per la successione. Cosa quindi meglio di una bella festa che consolidasse nella visione popolare il potere locale, legittimato e sostenuto da quello, distante e invisibile di un re infante e di sua madre?
E’ quello che si fece. Con grande profusione di uomini e mezzi.

Ed è quello che cercheremo di raccontare.

De Rebus Gestarum Alfonsi Regis

Avvicinarsi per catturare  i dettagli di un altro bel volume antico, è stata la piacevole occasione colta durante una fase di digitalizzazione condotta dal dott. Cusimano, lo scorso mercoledì 3 Giugno, presso la sede di NdF del prof. Giuffrida.
Il testo faceva parte della biblioteca privata di Girolamo Settimo, principe di Fitalia e marchese di Giarratana, che è stata successivamente donata dall’ultimo degli eredi, Pietro Settimo, alla Biblioteca di Storia Patria, costituendo oggi il Fondo Fitalia.

Il Dipartimento di Cultura e Società, di cui il prof. Giuffrida è il referente scientifico, per BookAlive è attualmente impegnato a confrontarsi con un altro testo storico introdotto già in un precedente articolo: “Le Solennità lugubri e liete in nome della fedelissima Sicilia nella felice e primaria citta di Palermo”.

Il manoscritto utilizzato invece per questa occasione, in perfetto stato di conservazione in cui compaiono piccoli disegni abbozzati da una mano sconosciuta, in coda fra le ultime pagine, e varie glosse, è invece il “De Rebus Gestarum Alfonsi Regis”, la Cronaca dello storiografico Bartolomeo Fazio alla corte di re Alfonso il Magnanimo.

La Gallery

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Html5 standard inevitabile

Abbiamo scritto in un insight di Informamuse come l’Html 5 sia una sorta di magnete per la condivisione dei  contenuti, un veicolo di convergenza culturale. Queste considerazioni riguardano anche progetti di ricerca come BookAlive che fanno della condivisione di storie il proprio focus culturale.
Prendiamo ulteriore spunto allora da un articolo su  elearningindustry.com che enumera le ragioni dell’adozione di questo linguaggio nell’industria dell’e-learning, per molti versi molto vicina alla realtà delle biblioteche, seppure con business models differenti.
L’articolo elenca una serie di motivi per accettare la realtà potenziale dell’Html5 per il learning.

In particolare vi segnaliamo al numero 3:

HTML5 is a universal working standard. There is an inevitability in the industry that HTML5 is already the worldwide reference for content creation that will drive and unify learning content production and the associated platforms to create and manage it.

Traduzione:

L’Html5 è uno standard di lavoro universale. E’ inevitabile che l’industria consideri l’Html 5 come il riferimento globale per la creazione di contenuti, destinata a guidare e unificare la produzione di contenuti didattici e le piattaforme correlate alla produzione e alla gestione degli stessi.

 Potremmo  riassumere tutti i punti proposti come segue:
– adattabilità al mobile (sempre più usato, anche nell’e-learning)
– non necessita di app dedicate;
– standard universale (vedi sopra);
– ampia e crescente disponibilità di professionalità  nel settore sviluppo;
– possibilità di creare oggetti di programmazione flessibili e chiari, capaci di connessioni operative robuste, flessibili e di alta resa, fattori estremamente importanti nel campo dell’e-learning;
– implementazione video (fuori dal Flash);
– moltiplicazione dell’offerta futura di semplici piattaforme  di sviluppo di piattaforme Html5 adatte all’e-learning.

Se associamo a queste considerazioni il potenziale del “quasi standard” ePub 3.0, il formato di ebook che sostanzialmente è fondato su Html5, dovremmo pensare che molte della app proprietarie oggi presenti sul mercato finiranno con l’immergersi anch’esse in questi mondo.
In più, come sappiamo, i browser si allargano. Dopo Chrome Os, adesso anche Firefox Os, il nuovo sistema operativo per smartphone. Potrà allargarsi anch’esso ai computer, così come ha fatto Chrome, proprio quando sembra che sia pronto il nuovo Windows 10.

Arriverà un giorno in cui compreremo un hardware mobile per decidere dopo che tipo di sistema operativo installare? Sta avvicinandosi il giorno in cui il browser web cancellerà la schiavitù da sistema operativo sul computer, specie se portatile?

A prescindere da queste domande, è chiaro che qualsivoglia sistema bibliotecario dovrà basarsi, se vuole diventare uno standard worldwide, su Html5. Perchè questo linguaggio sta diventando uno standard inevitabile per qualsiasi applicazione, semplice o complessa che sia, inaugurando un mondo molto diverso da quello che immaginavamo con un Html solo per i web site di branding promotion. Con la possibilità di chiedere aiuto a tutti i numerosissimi programmatori disponibili sul mercato. Qualsiasi altra soluzione, da qualunque parte proposta, nascerebbe obsoleta ancor prima di vedere la luce.

Il senso del tatto in una mostra: impossibile?

Nei musei e nelle mostre a tema il senso del tatto è relegato al biglietto d’ingresso, purtroppo.

Eppure è uno dei sensi più utili alla conoscenza e al ricordo delle esperienze, e sarebbe estremamente utile da utilizzare in occasione di mostre ed esposizioni, ma per ragioni ovvie è impossibile. Vige l’obbligatoria regola del “si guarda ma non si tocca.”

Come avvicinare il pubblico agli oggetti e alla cultura in esposizione utilizzando il senso del tatto?

Cominciamo dal fatto che, tranne in casi particolari, non si può davvero fare in concreto e in assoluto. Abbiamo provato ad immaginare che, nel caso di esposizioni di libri in pergamena, sarebbe possibile realizzare ex novo della pergamena in folio, opportunamente trattata, per esporla liberamente al senso del tatto dei visitatori. Ma abbiamo scartato l’idea: in un periodo invernale significherebbe far esplodere la pandemia di influenza.

Tuttavia ci sono modi, se volete “artistici”, di indurre il senso del tatto attraverso altri sensi, in particolare la vista. Nell’ambito della ricerca per Bookalive abbiamo fatto un esperimento. La domanda era: come fare indurre il senso del tatto sulla carta stampata attraverso la vista?

Abbiamo subito scartato l’idea dello “sfoglio” delle pagine in digitale su un grande schermo orizzontale. In questo caso infatti si utilizza il tatto per l’interazione digitale con il prodotto, e ciò distrae immediatamente: quel che si tocca è invariabilmente un vetro freddo, assai distante dalla trama calda della carta, a maggior ragione della pergamena. Qualunque artifizio visivo digitale per indurre il senso del tatto su un dispositivo digitale a vetro freddo sarebbe distratto dall’effettiva interazione dei polpastrelli col vetro.

Abbiamo quindi provato con alcuni esperimenti di macrofotografia. L’obiettivo era di fare “vedere” la microstruttura a rilievo della parte stampata di una pagina suscitando il senso del rilievo tattile.

Abbiamo provato con un volume su cui stavamo compiendo delle ricerche, stampato alla fine del 1800 su grandi pagine di ottima carta pesante, molto liscia. Questi sono alcuni primi risultati, incoraggianti, che fanno intravedere la potenzialità della tecnica.

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In sede di ripresa non abbiamo potuto avere un controllo efficace della luce per fattori ambientali e di tempo, ma siamo sicuri che i risultati potranno solo migliorare quando avremo più tempo e più spazio per poterci dedicare alla sperimentazione.

Il secondo esempio di “induzione tattile della vista” è quello che vi proponiamo.

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Sono modelli in scala ridotta di navi passeggeri dei primi dell’800 realizzato per conto di una compagnia di navigazione e mostrato nella esposizione “La Grande Trieste” di cui abbiamo trattato in precedenza. In questo caso si tratta di un oggetto di grandi dimensioni, che colto visivamente nella sua interezza viene decodificato come un’immagine. Tuttavia è forte l’impulso ad avvicinarsi alla teca di vetro per vedere da vicino i dettagli dell’oggetto, che sono straordinari, tutto merito dei superbi artigiani che l’hanno costruito in passato. I dettagli sono tanto minuti e tanto perfetti nella replica del vero da indurre al “ trasfert narrativo”, tipico dei diaporama di una volta, cioè la presa di visione in prima persona.

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Si finisce con l’immaginarsi di vagare sui ponti della nave come facevano i passeggeri di una volta. Non solo. La vicinanza al dettaglio ci sembra induca anche la sensazione tattile di poter toccare il modello, come se fosse davanti a noi senza la teca, perchè ne vediamo i dettagli tridimensionali, i colori leggermente scrostati dal tempo, la minuscola polvere che lo ricopre. La tridimensionalità dell’oggetto e l’illuminazione fa il resto.

In definitiva quindi si può tentare di ovviare all’impossibilità dell’uso del tatto in una mostra con degli espedienti che “avvicinino”, o che addirittura “entri dentro” agli oggetti e alle storie. L’esplorazione del dettaglio, della struttura visiva e del loro trasformarsi col gioco della luce cambia l’esperienza avvicinandola a quella del tatto, che tanto ci aiuta a conoscere e ricordare.

Html pluriservizio, una mostra “Glocale”

Stavolta non parliamo di biblioteche ma vorrei riportare l’esperienza di visita ad una mostra cittadina. S’intitola “La Grande Trieste 1891-1914”, il periodo di massimo splendore di questa asburgica città. Seppure organizzata da enti diversi, l’intento espositivo è analogo alle mostre e alle attività di una qualunque biblioteca: caratterizzare l’identità di una città e dei suoi cittadini mostrando la storia e le storie più affascinanti.

E ci riesce benissimo. Innumerevoli immagini ma anche oggetti, in particolare fotografie, giornali, riviste e strumenti a stampa, che appartengono ad un mondo ormai scomparso.
Dal punto di vista fotografico, il catalogo è impressionante: si va dalle immagini dei vari Asburgo fino ai matti reclusi che fabbricano sedie, passando per feste, eventi e più normali domeniche di passeggio sul famoso “Molo Audace”, una delle attrazioni della città, che come un dito si stende verso sud-est, indicando la lontana Costa Dalmata.
E poi le grandi compagnie di navigazione, mostrate in tutta la loro potenza con dipinti “aziendali” che ricostruiscono la flotta nel numero e nell’abbondanza di tonnellaggio. E poi i servizi collaterali allo sviluppo del traffico marittimo, le straordinarie compagnie di assicurazione.
Trieste fu il luogo in cui nacquero le principali compagnie di assicurazione italiane che poi crebbero moltissimo dopo la prima guerra mondiale divenendo le protagoniste nazionali assolute, come le “Generali”. Per simboleggiare adeguatamente l’enorme inventiva messa in campo per la diffusione e promozione della sottoscrizione di polizze, oltre gli originali dei verbali di assemblea costitutiva delle varie società, è in mostra un oggetto strepitoso:

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Si tratta di una macchina per l’emissione di una polizza infortuni grande quanto un odierno scontrino, analoga a quella che molti anni dopo si vide comparire negli aeroporti per sottoscrivere una polizza prima di farsi prendere dal panico del volo.
Come vedete, le istruzioni riportano la necessità di non utilizzare monete “storte” (sono stato dieci minuti a pensare perché le monete dovessero essere storte e per quale motivo) e di firmare lo scontrinello in uscita dalla macchina, per trasformare il pezzetto di carta in una vera polizza da tenere in tasca, per ogni evenienza.

Dal punto di vista tecnologico la mostra doveva rispondere a due esigenze fondamentali: la promozione della stessa sul web e la necessità di fornire una guida in quattro lingue. Oltre all’italiano e l’inglese, anche il tedesco e lo sloveno. La soluzione adottata non è stata un’app, complicata e di elevata differenziazione, non è stata la stampa di un catalogo o una brochure, pesante costosa e da gettare al macero appena finita la visita. I curatori si sono semplificati la vita e hanno preso una strada nuova (anzi vecchia): HTML.
In pratica hanno realizzato una semplice sito web in quattro lingue, senza tanti fronzoli e riportando esattamente il copy che è centrale nella mostra stessa, senza ampliarlo, modificarlo o fare tante presentazioni e saluti dei politici. Un sito web di servizio, perfettamente adattabile al mobile, che è anche la vetrina della mostra per la promozione web della stessa.
Poi hanno fornito in sala un wifi free, con password di accesso stampata su ogni pannello (così non devi andare a chiederla al custode, tanto la segretezza non serve a niente), con cui navigare liberi e chattare con Whatsapp tra compagni, così puoi dire al mondo che sei alla Mostra e fai promozione.
Ma siccome tutti pretendono qualcosa da portare a casa per dimostrare che “ci sei stato” e magari per rivivere le sensazioni avute quando il professore ti fa fare il tema in classe sull’argomento, hanno stampato dei blocchi monotematici da cui puoi facilmente strappare un cartoncino formato A5, il cui retro è in formato cartolina (credo che la stampa sia digitale, laser a colori).


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Niente totem, niente proiezioni, niente effetti speciali costosi e inutili. Solo due schermi con il video dell’allestimento della mostra, ben pensato e realizzato, con molte scene in stop motion. Lo scopo è: far vedere che quando si parla di cura della mostra si dice appunto CURA.

Soluzioni semplici, dal basso costo, per concentrare tutto il budget nell’allestimento dei pannelli e nell’organizzazione della mostra, impeccabile ed efficace. Pochi fronzoli, tanta sostanza, immediatezza delle storie, vera immersione narrativa. Uso dell’Html Glocale, cioè a servizio dei vari scopi sia “dentro” che “fuori”, sia nel mondo fisico che in quello virtuale. Una mostra Glocale.

In una parola: Bravi!

Biblioteche e social network

Nel report della ALA (The American Library Association) circa l’uso dei Social Network da parte delle Biblioteche Pubbliche, l’analisi ha rivelato che nel 2012 le varie piattaforme in Rete si sono dimostrate utili non solo a promuovere la disponibilità di edizioni on line ma anche per la  costituzione di una relazione di fiducia con gli utenti.

Anche negli USA, il massimo finora attuato in termini di uso dei SN consista nel:

  • promuovere eventi e contenuti on line;
  • proporre link ai contenuti via via messi in Rete;
  • ricevere feedback dal pubblico sulle iniziative della Biblioteca.

Si potrebbe dire che sia ancora poco, anzi, pochissimo. Ma non la pensiamo così. Si tratta dei primi esperimenti, condotti più che altro come “prove” e decisioni talvolta estemporanee con cui questi enti cominciano a misurarsi con una realtà completamente nuova, selezionando nel tempo una serie di obiettivi successivi.

La domanda è: il Social network serve ad una Biblioteca? Una biblioteca pubblica dovrebbe avere una pagina Facebook? E se si, perché e come e per fare cosa?

Sembrano domande banali, ma in verità non lo sono affatto perché non conta tanto la risposta (che d’istinto si vuole positiva) quanto il come queste scelte incidono sull’operatività, le scelte sui contenuti e in definitiva la personalità delle biblioteche che ne risulta e il loro rapporto con il pubblico.

Di solito si considera il problema dal punto di vista della capacità promozionale del Social Network per il soggetto che lo utilizza. E’ un approccio attivo, che associa il ruolo del Social Network a quello dei vecchi media televisivi e a stampa. Purtroppo, o per fortuna, la dinamica del fenomeno è completamente diversa. Se quindi la risposta alle domande è affermativa PERCHE’ si vuol fare promozione, allora cominciano i problemi.

I Social Network (SN) non sono luoghi privilegiati di comunicazione ma di CONDIVISIONE e CONVERSAZIONE. Noi condividiamo informazioni e storie ai nostri contatti e amici, un elenco impressionante e sempre aggiornato di eventi, idee, sentimenti e immagini della nostra vita che inseriamo in quella grande piazza locale della rete affinché tutti vedano quel che sentiamo/vediamo/emozioniamo.

Quando una Biblioteca Pubblica apre un profilo sui SN, comincia ad allargare i componenti delle sue cerchie allo scopo di essere presente nel flusso delle condivisioni dei soggetti “fisici”, ma non ha un corrispettivo feedback, cioè non riceve una cronologia di ritorno. E’ una sorta di comunicazione “a senso unico” come appunto quella della televisione. Ed è appunto del tutto asimmetrica rispetto al vero valore dei SN nella vita dei suoi componenti. E’ difficile instaurare una conversazione vera, anche se si dovesse arrivare ad organizzare un vero e proprio staff che si occupa della conversazione.

In secondo luogo occorre focalizzarsi sul CONTENUTO della conversazione. Se è ovvio che una Biblioteca non posterà foto di gattini (a meno che non si tratti di statue egizie di dee gatto o immagini litografiche sulla classificazione felina) è d’altra parte vero che lo “status” della Biblioteca nei SN si costituirà solo se i contenuti e le loro condivisioni saranno in linea con gli obiettivi della comunicazione voluti e le aspettative dei follower. Mentre il primo aspetto dovrebbe essere attentamente pianificato da parte della Direzione (e di questo parleremo dopo) è altrettanto giusto parametrarsi a quello che i follower si aspettano che una biblioteca dovrebbe fare per me che spesso è del tutto diverso da quello che si aspetta la Direzione della Biblioteca.

Proviamo quindi qui di seguito a delineare le possibili aspettative dei potenziali follower:

  • identità culturale
  • disponibilità facilitata di contenuti on line, off line, digitali e cartacei;
  • proposizione di contenuti elaborati dalla stessa biblioteca
  • servizi rapidi di ricerca e reperibilità degli oggetti
  • sale lettura comode, accoglienti e connesse ad internet
  • prestito, consegna e ritiro a domicilio dei volumi richiesti

Di contro l’offerta attuale riguarda:

  • tradizionale offerta di sale lettura e degli oggetti conservati nella biblioteca
  • disponibilità limitata di contenuti digitali offerti su piattaforme dalle capacità varie;
  • promozione di eventi e manifestazioni “one shot”

E’ evidente che, se l’elenco delle aspettative è legittimo, c’è un gap tanto vasto che si potrebbe pensare di gettare la spugna e rimandare il problema a data da destinarsi. E sarebbe un errore, poiché nelle dinamiche della rete è insito invece il processo di step by step che arricchisce la relazione e la conversazione che si instaura nei SN.

Quindi il problema si sposta ulteriormente al che fare concretamente. La risposta dovrebbe essere articolata e orientata a:

  • proposizione di eventi identitaria e culturali;
  • riproposizione di servizi possibili e incrementabili;
  • conversazione.

Il terzo aspetto è decisivo nel lungo periodo, ed è quello che andrebbe impostato per primo. E’ infatti dall’esercizio costante della conversazione che scaturiranno problemi e loro soluzioni, proposte e loro feedback con la popolazione dei follower.

Come fare?

La proposta di base considera l’apertura di una sorta di “ufficio relazioni esterne” via SN che sia capace (e libero) di instaurare conversazioni sulla base delle attività della biblioteca verso il pubblico, convergendo l’attenzione del gruppo di follower.

Per farlo occorre:

  • la configurazione di una vera identità da proporre;
  • la redazione di un programma editoriale che comprenda eventi e contenuti da proporre;
  • uno staff per la realizzazione del precedente e capace di interloquire stabilmente con le richieste dei follower.

Sono certamente impegni importanti per una Biblioteca. Non soltanto dal punto di vista delle risorse da impiegare ma soprattutto per l’approccio diametralmente opposto a quello attuale. In questo momento l’approccio è rivolto alla conservazione e alla messa a disposizione locale delle risorse culturali; l’appoccio dello Staff SN di una biblioteca dovrebbe essere quello di “gestire un’esplosione controllata” dei contenuti culturali e identitari di una Biblioteca.

Un approccio su cui avremo bisogno di riflettere attentamente.

l’HTML un magnete? Una stella, piuttosto

Fare ricerca nell’ambito della rivitalizzazione dei libri impone di estraniarsi di tanto in tanto per vedere tutto il processo dall’alto, da lontano, lontano quel tanto che basta per sentirsene fuori e guardare senza troppi condizionamenti quel che succede davvero. Capita a volte di avere un assist in questo processo. In questo caso ci è venuto da un articolo comparso sul blog di Storia Continua, che parla del futuro dei libri, e di come vi sia in atto una confusione notevole, che peraltro conosciamo bene.

La tesi fondamentale è che il linguaggio HTML sia tanto basico da attrarre come un magnete nel suo format ogni produzione di contenuti che avvenga per essere fruita sullo schermo. Un’idea tutto sommato semplice, che però ha bisogno di grandi altezze e di un punto di vista spiazzato per poter essere colta appieno, in tutte le sue conseguenze.

L’HTML nasce come linguaggio insieme al Web, negli anni 80, e si è evoluto per trent’anni. Non sono pochi ed è il filo rosso, la spina dorsale che percorre tutta la schiena del presente e futuro della rivoluzione digitale. E’ l’acronimo di linguaggio a marcatori per ipertesti”. Tutti sappiamo che si tratta di un linguaggio per la formattazione di contenuti da fruire sul Web; è una cosa tanto stranota che non ci facciamo più caso. Eppure sta tutto lì, nelle due parole: Linguaggio e Formattazione. La sua potenza è così grande che oggi la conoscenza di questo linguaggio è diffuso quasi quanto l’abilità di condurre un’automobile. E in fin dei conti un libro di carta, portato in digitale, non è altro che un contenuto che si adatta ad un nuovo formato, attraverso un linguaggio “invisibile” che lo adatta alla nuova superficie di fruizione, dalla carta allo schermo (orizzontale, verticale, desktop o mobile). Che c’è di tanto strano?

Una volta, ai tempi degli scribi, le bibbie miniate e scritte su pergamena erano tanto voluminose che dovevano stare su pesanti leggii di legno, stavi in piedi a leggerle. In pratica la versione desktop di un ebook. E chi ha avuto a che fare con una tipografia sa benissimo che esiste un linguaggio tecnico tipografico fatto di in-folio e in-quarto, fuori margine, font, inchiostrate, quartine e senza-grazie, pedici e indici, tutta roba che non sta nel nostro vocabolario quotidiano, esattamente come <head>, <body> e <div>. E’ anche vero che per cinquecento anni le tipografie si sono evolute e moltiplicate a dismisura, ma coloro che conoscono e usano l’Html oggi sono molti di più di quelli che avevano o lavoravano in una tipografia fino a trent’anni fa. Non dovrebbe questo essere considerato un vantaggio invece che una tragedia?

Mettiamoci nei panni di quelli che si misero in testa di realizzare un programma per l’edizione facile di un ebook per tutti, cioè uno standard aperto: l’epub. Siamo nel 2007 e tra di noi ci sono quelli che sanno di tipografia e di computer.  Abbiamo computer con i browser aperti che navigano in html dalla mattina alla sera. Cosa sceglieremmo? L’Html, ovviamente.  Anzi, meglio, l’Xhtml.  Fa tutto quello che ci serve: è in grado di trasformare qualunque contenuto in un oggetto fruibile su qualunque schermo, velocemente e senza problemi. Troppo facile? Forse, no. Forse è solo ovvio. Com’è ovvio che chi abbia avuto l’idea di realizzare un piccolo motore a combustione interna che brucia benzina abbia avuto l’idea di montarlo su una carrozza per sostituire il cavallo. C’è poi una così grande differenza tra carrozza e automobile? Non sono in fin dei conti la stessa cosa con due adattamenti diversi a partire da fonti di energia diverse?

In questo modo l’ebook non è altro che la stessa cosa del “book” su un supporto diverso: un monitor retroilluminato invece della carta. Tutte e due trasportabili, fruibili in ogni condizione e nessuno dei due ama l’acqua. Guarda un po’ che coincidenza.

Forse la cosa che distrae di più è che il Web fu inventato insieme all’HTML per fare “pagine” che diventarono “pagine web” e che furono subito sfruttate dalle aziende per farci la versione web dei loro cataloghi e delle loro brochure: insiemi di pagine a colori, molto coinvolgenti e molto promozionali. E allora si potrebbe dire che la differenza tra un ebook e un sito web è che il primo non cambia nel tempo, è l’opera di un autore che in genere racconta una storia, invece di una “serie di pagine che raccontano i prodotti di un’azienda”. Ovviamente la differenza si fa più sottile quando l’oggetto web è un blog, perché mettendo insieme una serie di post di un unico autore si fa un libro. E il cerchio si chiude.

Ecco perché Antonio Massara propone il concetto di Digraph, analogamente a quello che fa Hugh Mcguire col suo Webbook.

Nel frattempo, dall’altra parte del discorso, cioè da quella dei computer e di come funzionano,  Google propone un sistema operativo per computer dal basso costo fondato sul suo browser Chrome, in grado di far tutto quello che fa un normale desktop in modo più facile e veloce. Browser? Ah, si, il programma che “legge” l’HTML.

Ma allora, di che parliamo? Della stessa identica cosa: l’HTML attrae tutto perché è la versione moderna del linguaggio tecnico del tipografo per i libri, del meccanico per le automobili e del cuoco per la cucina. Oggi la stragrande maggioranza di ciò che arriva agli occhi e nella mente di un uomo da un computer passa per l’HTML, e quindi tutto ciò che vuole arrivare lì deve passarci, volente o nolente.  A questo punto, meglio volerlo, cercarlo e adattarsi nel modo migliore, adattarsi agli uomini per gli uomini.

Ma non abbiate paura, il fatto che sia così non significa che un ebook “assomiglierà” ad un sito web o ad un sistema operativo per smartphone  A parte il fatto che, progressivamente e soprattutto su smartphone, i siti web in wordpress assomigliano già molto ad un ebook. La convergenza di sistemi e oggetti diversi non deve far paura: passare da uno sgabello in legno grezzo ad una Poltrona Frau è sempre un gran piacere. C’è voluto qualche milione di anni, ma ben venga!

L’HTML, con i suoi pregi e difetti, può assumere il ruolo di linguaggio per tutti e per tutto, con le sue evoluzioni che sembrano non terminare mai, nonostante siano già trent’anni che permea l’intero mondo del Web.

Forse dobbiamo confutare la metafora iniziale. L’HTML non è un grande magnete, è piuttosto una Stella che con la sua grandissima forza d’attrazione costringe tutti i sistemi a ruotarle intorno, alcuni più vicini, altri più lontani; alcuni abitati altri deserti ma grandi e gassosi. Una stella che può diventare come un Dio per uomini primitivi, ma che è solo una formazione gassosa che sviluppa reazioni termonucleri e quindi luce e calore per gli astronomi che le conoscono bene. Noi stessi dipendiamo dal Sole per vivere, esattamente come dipendiamo dall’Html per esprimerci nel nuovo mondo digitale. E’ ovvio che tutto finisca per ruotarci attorno.

La Biblioteca del Senato della Repubblica “Giovanni Spadolini”

Ospitiamo con piacere l’intervento della Dott.ssa Stefania Gialdroni sulla Biblioteca del Senato della Repubblica e sul Fondo Cortese

La città di Roma vanta notoriamente un patrimonio librario che per varietà e antichità non ha eguali nel mondo. Una parte consistente dei libri antichi che costituiscono tale patrimonio è però – per evidenti ragioni di preservazione ma anche a causa di lacune organizzative – accessibile solamente ad una ristretta cerchia di specialisti dei vari settori disciplinari. Pur nel contesto di una tale abbondanza di fondi, la Biblioteca del Senato della Repubblica rappresenta un’eccezione e un’eccellenza da svariati punti di vista: la ricchezza del patrimonio (700.000 volumi, circa 3.000 periodici e 600 giornali italiani e stranieri, la più importante raccolta di Statuti di Comuni e Corporazioni dal Medioevo all’Età contemporanea, antiche edizioni di testi romanistici e canonistici, inclusi manoscritti, incunaboli e cinquecentine, etc. ), l’accessibilità (la biblioteca è aperta al pubblico ed è ubicata nel cuore della città, a pochi passi dal Pantheon) e, non da ultimo, la specializzazione. Insieme alla Biblioteca della Camera dei Deputati, con la quale condivide il Catalogo del Polo bibliotecario parlamentare (accessibile online), la Biblioteca Giovanni Spadolini è infatti il luogo privilegiato nel quale reperire testi relativi all’attività del Parlamento (legislazione, atti parlamentari, regolamenti, etc.) e alla storia giuridico-politica italiana e internazionale.  Soprattutto però, dopo la recente acquisizione del Fondo Cortese, la Biblioteca del Senato può essere considerata come “depositaria del più completo sistema di fonti del diritto per la storia italiana tardo medievale e moderna”, un luogo unico nel quale studiare la storia giuridica italiana ed europea, dal diritto statutario locale, alla legislazione delle signorie e degli antichi stati, alle fonti del diritto comune.

La biblioteca, fondata nel 1848 e originariamente  ubicata nella sede torinese del Senato (Palazzo Madama), porta oggi il nome del Senatore Giovanni Spadolini, sotto la cui presidenza, nel 1991, il Senato acquisì l’attuale sede, il cinquecentesco Palazzo della Minerva, aperto al pubblico dal giugno del 2003.

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Sala dei Periodici della Biblioteca del Senato

Il patrimonio storico-giuridico della Biblioteca del Senato: il Fondo Cortese

 La Biblioteca del Senato ha ricevuto, nel corso dei decenni, importanti donazioni  (le più recenti sono quelle dei Fondi Zaslavsky e D’Onofrio), grazie alle quali si è consolidato il duplice carattere del suo patrimonio: biblioteca parlamentare specializzata e luogo di elezione per la ricerca storica (anche locale), storico-giuridica e politica. Dopo l’acquisizione delle biblioteche personali di Alessandro D’Ancona (1914), Alessandro Chiappelli (1934) e Amintore Fanfani (1999), nel 2000 sono entrate a far parte del patrimonio della Biblioteca del Senato 364 opere di diritto romano e canonico (secc. XVI-XIX) appartenute al celebre giurista Filippo Vassalli. Tale donazione ha segnato un nuovo corso nelle politiche di sviluppo della biblioteca, orientate da quel momento anche verso le fonti del diritto comune.  Una tendenza recentemente confermata dall’acquisizione, tra il 2005 e il 2010, del Fondo Cortese, la biblioteca  personale del Prof. Ennio Cortese, emerito di Storia del diritto italiano dell’Università “La Sapienza” di Roma, da lui generosamente donata (puoi leggere l’intervista del prof. Cortese in occasione della pubblicazione del primo volume del Catalogo del Fondo).  Il Fondo, collocato nella “Sala Cortese”, una grande sala di consultazione al primo piano della biblioteca, consta di una sezione antica – circa 1.000 opere di diritto comune edite tra il XV e il XIX secolo, per un totale di quasi 2.000 volumi – e di una moderna, che comprende più di 5.000 opere di argomento giuridico e storico-giuridico, sia italiane che straniere. Il Catalogo del Polo bibliotecario parlamentare include il patrimonio del Fondo Cortese ma per una descrizione più dettagliata delle opere è oggi disponibile il primo volume del Catalogo del Fondo Ennio Cortese: manoscritti, incunaboli e cinquecentine (a cura di A. Casamassima, Firenze 2012), mentre il secondo volume (opere dei secoli XVII-XIX) è attualmente in preparazione.

Questo patrimonio di testi di argomento storico-giuridico unico per qualità, complessità e antichità è oggi riservato a chi può recarsi personalmente presso la Biblioteca del Senato. Le moderne tecniche di digitalizzazione potrebbero rendere davvero accessibile, senza che si pongano problemi relativi al deterioramento di preziosi testi antichi, questa vera e propria “miniera” della cultura storico-giuridica europea a cui tutti dovrebbero poter attingere.

 I Libri di Minerva, un video che ci accompagna alla Biblioteca “Giovanni Spadolini”, buona visione e buona lettura.


“Quod non est in libris non est in mundo”. Il Fondo Antico Giuridico della Facoltà di Giurisprudenza

Pubblichiamo volentieri il contributo della Dott.ssa Serena Falletta 

Mentre nel resto del mondo gli istituti culturali e scientifici promuovono e valorizzano le collezioni private possedute, allestendo pagine internet e percorsi museali in grado di esaltarne la specificità, il trend italiano sembra essere invece quello di far “svanire” i fondi più preziosi all’interno di organismi bibliotecari più grandi, decontestualizzandoli e rendendoli inaccessibili. Avviene così che tra i tesori nascosti dell’Università di Palermo esista una preziosa collezione di antichi libri legali composta da oltre 1.500 edizioni sconosciuta ai più, testimonianza significativa di un sistema del diritto operante non solo in Sicilia, ma in gran parte dell’Europa continentale, dal XII al XVIII secolo: un patrimonio storico, scientifico e artistico di grande valore, che potrebbe divenire utile strumento di lavoro per gli specialisti e attrazione culturale del nostro ateneo, in quanto capace di mostrare al grande pubblico i molteplici percorsi del pensiero giuridico medievale e moderno.

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Formatasi attraverso lasciti e donazioni, sopravvissuta a spostamenti e ricollocazioni che ne hanno disperso le memorie documentarie ma assente nell’OPAC universitario, che conserva appena un centinaio di record a fronte di una raccolta di opere formata da oltre tremila volumi, questa notevole raccolta è oggi quasi interamente custodita nei locali della Biblioteca di Storia del Diritto “Ottavio Ziino”, al piano terra della facoltà di Giurisprudenza, a seguito di un lungo lavoro di riordino e inventariazione che culminerà nella pubblicazione di un catalogo all’interno del progetto Book Alive.

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È impossibile ricostruire con precisione il processo di formazione della ricca selezione di volumi conservata tra gli scaffali di questa biblioteca che, al di là della superficiale immagine di magazzino di libri, è un organismo vivo, cresciuto attraverso sotterranei accumuli e lente sedimentazioni prodotte da donazioni, strategie, ritmi e opportunità d’acquisto, dalla coltivazione di particolari filoni di studio. Di certo, il patrimonio librario antico è frutto dell’accostamento e della fusione di collezioni eterogenee, che ben rappresentano gli interessi di ricerca dei docenti dell’Università stessa e delle principali personalità della cultura accademica regionale tra l’Ottocento e i primi del Novecento. La stratificazione dei fondi antichi costituisce infatti un tratto naturale della fisionomia delle biblioteche, sebbene in molte strutture – e soprattutto quelle universitarie – non sia tradizionalmente riservato un ruolo preminente a tale materiale, che viene trattato spesso con tecniche approssimative, per le particolari problematiche che scaturiscono dalla sua conservazione e fruizione o per la scarsità del loro appeal nei confronti dell’utenza abituale.

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Due i nuclei maggiori, per consistenza e organicità, attorno cui si è costruito il patrimonio bibliografico antico: il lascito del professore Luigi Genuardi, che nel 1938 destinò alla biblioteca del Circolo giuridico “Luigi Sampolo” numerosi volumi antichi e il fondo “Ottavio Ziino”, proveniente in massima parte dalla biblioteca del senatore Agostino Todaro della Gallia e donato agli inizi degli anni Ottanta all’Istituto di Storia del Diritto Italiano dallo stesso Ziino. Una semplice scorsa ai nomi degli autori e ai titoli delle edizioni conservate mostra chiaramente la vastità spaziale e temporale delle fonti custodite: le opere edite riguardano infatti sia il diritto comune – civile e canonico – sia il diritto del Regno di Sicilia, ben delineato nei numerosi volumi di costituzioni, capitoli, prammatiche, sanzioni, istruzioni, consuetudini, parlamenti, bandi, ordini e provviste, commenti alle leggi, nonché delle opere dedicate alla dottrina pubblicistica, privatistica ed ecclesiastica. Numerose le raccolte di decisiones concernenti la giurisprudenza dei Grandi Tribunali che, specialmente a partire dal sec. XVII, rappresenta una vera e propria fonte di produzione del diritto, consentendo ai giuristi di conoscere l’effettiva interpretazione e applicazione di esso da parte degli organi giudiziari, cui si aggiungono svariati consilia, observationes e resolutiones nelle quali, oltre al consilium, è fornita anche una breve notizia delle relative vicende giudiziarie. Nella collezione si distinguono inoltre alcune tra le opere più rappresentative del pensiero giuridico di tutti i tempi, di autori prestigiosi quali, solo per citarne alcuni, Azzone, Andrea Alciato, Andrea d’Isernia, Accursio, Bartolo da Sassoferrato, Pierre de Belleperche, Barnabè Brisson, Egidio Bossi, Guillaume Budè, Giulio Claro, Prospero Farinacci, Benedikt Carpzov, Jacques Cujas, Matteo d’Afflitto, Giovan Battista De Luca, Hugo Grozio.

Più di 250 le edizioni afferenti al genere letterario del trattato che, sebbene presenti una storia evolutiva i cui inizi si collocano nell’età stessa del rinascimento giuridico, riunisce tipologie di testi spesso differenti per metodo e struttura:: per citare solo gli esempi più famosi presenti basterà ricordare il tractatus de dote, il tractatus de statutiis, la raccolta di trattati criminali compilata da Giovan Battista Ziletti e il trattato de iure protimiseos, intestato a Matteo D’Afflitto ma contenente anche i lavori in materia di Baldo degli Ubaldi, Roberto Maranta e Marco Mantua Benavides. Degna di menzione, in quanto assai rara, la prima edizione dei Commentaria in usus feudorum di Andrea d’Isernia: una vera pietra miliare della tradizione feudistica, che gli valse la qualifica di monarcha feudistarum, scritta all’epoca di Carlo II d’Angiò con intenti eruditi e lo scopo di sistematizzare, adeguandoli ai nuovi principi della dominazione angioina, le strutture dell’ordinamento legislativo impostato nelle Costituzioni federiciane. Dell’editio princeps, pubblicata a Lione nel 1579 dall’editore fiorentino Filippo Tinghi, si conservano in Italia solamente altri tre esemplari, noti per il reimpiego sul frontespizio della tipica marca tipografica con il giglio fiorentino della famiglia Giunta, a causa del quale sostenne una lunga controversia giudiziaria con Jeanne Giunta. Ben rappresentate, all’interno del ricco fondo, anche le opere della Scuola Culta e, più in generale, della corrente umanista, con le opere di Alciato, François Connan, Hugues Doneau, François Hotman, Barnabé Brisson, Jacques Godefroy e Jacques Cujas per la Francia mentre, sul versante germanico compaiono nomi di spicco come quelli di Ulrich Zasius, Nikolas Vigel, Johann Sichardt e Johann Brunnemann. Ampio spazio è riservato infine alle riflessioni dei principali giusnaturalisti – Grozio, Samuel Pufendorf, Thomas Hobbes, John Locke, Christian Wolff – nonchè, a corredo storiografico della dottrina e della normativa alle opere storiche dedicate al Regno di Sicilia, con i lavori di Tommaso Fazello, Vito Amico, Emanuele Aguilera, Vincenzo Auria, Giovanni Evangelista Di Blasi, Rosario Gregorio.

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La ricognizione dei volumi, l’elenco e l’analisi degli esemplari antichi che si sta compiendo attraverso il progetto Book Alive, rappresenta solo un primo passo – seppur indispensabile – verso la comprensione circostanziata, il recupero e la valorizzazione dell’intero patrimonio librario posseduto dall’Università e della storia delle sue biblioteche specializzate. Lo scopo finale è infatti quello di richiamare l’attenzione degli studiosi e, più in generale, del pubblico e delle istituzioni culturali, alla necessità di promuovere e sfruttare un capitale culturale di enorme valore.