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L’Uomo di Marte

Il secondo post di Francesco Paolo Trapani, dottore commercialista e revisore legale con specifica esperienza in gestione di progetti di investimento assistiti, per approfondire il tema del sostegno alla attività produttive con suggerimenti operativi piuttosto che teorici. I Co.Co.Pro e il precariato intellettuale.

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Sono un appassionato di fantascienza, lo ammetto. Film e romanzi di fantascienza esercitano su di me un fascino irresistibile. Un po’ me ne vergogno ma tant’è…

Ho appena finito di leggere un romanzo di Andy Weir dal titolo “L’Uomo di Marte”. Al di la del romanzo, comunque ben scritto ed appassionante, mi ha colpito il titolo: l’Uomo di Marte. Un uomo completamente avulso ed estraneo al contesto nel quale si trova. Beh, mi ricorda decisamente qualcuno.

L’atteggiamento con il quale reagisco a certe vicissitudini locali non è più di disincanto ma di totale straniamento; proprio non riesco a comprenderle.

Nell’oramai lontano 2010, ebbi la sventura di leggere, in anteprima, le modifiche apportate dal Dirigente del Servizio “Innovazione e Ricerca” del tempo ad un bando della Regione Sicilia, destinato ad incentivare la Ricerca e lo Sviluppo. Il funzionario intendeva, con tale atto amministrativo, semplificare le procedure di accesso ai fondi, da Ella reputate eccessivamente articolate e complesse, quantomeno in alcuni punti. Sono assolutamente convinto della buona fede della persona. Non credo ci fossero particolari interessi, strategie e/o retro pensieri. Solo, tutto sommato, la buona volontà di un “public servant”.

Risultato?

A tutt’oggi esistono ben due bandi regionali destinati a stimolare la ricerca e lo sviluppo nelle imprese che, esplicitamente, incentivano il precariato intellettuale. Uno degli “effetti collaterali” del processo semplificativo è stato, infatti, l’imposizione di un limite all’uso di risorse interne da parte delle imprese beneficiarie sino al raggiungimento di un valore pari al 30% rispetto all’investimento complessivo.

In altre parole, se, ad esempio, l’investimento in R&S è stimato in 100 mila €, non sono considerati ammissibili costi del personale interno per importi superiori a 30 mila €. E se la Ricerca è particolarmente complessa e genera un fabbisogno, in termini di risorse umane, superiore al 30%?

Si usano i CoCoPro.

Usare i CoCoPro?!? Per Ricerca e Sviluppo? L’Uomo di Marte non riesce a capire.

Perché devo usare i precari per attività qualificate e qualificanti come la Ricerca? Perché non posso usare il personale già qualificato? E se il progetto è totalmente immateriale? Se una software house intende partecipare al bando come fa? Il costo principale è quello delle risorse umane! A questo punto licenzia ed assume CoCoPro!!!

Ma quello che proprio risulta incomprensibile all’Uomo di Marte è l’atteggiamento degli attori locali. Nessun lamento, nessuna obiezione. Università, Enti di Ricerca, Associazioni Datoriali, hanno “digerito” la vicenda senza un sussulto; la politica, d’altro canto, non si è neanche sforzata di comprendere.

Com’è possibile che, nel secondo decennio del ventunesimo secolo, esistano ancora strumenti di sostegno al precariato intellettuale? Com’è possibile che nessuno abbia compreso la portata, in termini di politica industriale di un simile provvedimento?

L’Uomo di Marte, pur non comprendendo, è portato a fare una preoccupante ipotesi:

Non capiscono.

Semplicemente non ci sono sufficienti persone capaci di leggere gli indirizzi politici e trasferirli in atti amministrativi tali da adeguarsi alle condizioni di contesto; ed è questo il principale problema che affligge, a parere di chi scrive, l’Amministrazione Regionale.

La scrittura delle regole amministrative (Bandi Pubblici di accesso ai Fondi Strutturali) non è governata a livello centrale ma è lasciata ai singoli dipartimenti ed assessorati e, non sempre chi scrive le regole è sufficientemente competente in materia.

La causa della mancata spesa dei Fondi Strutturali non è politica (o quantomeno solo politica) ma è tecnico amministrativa. I Bandi sono scritti male. Non riescono ad interpretare e gestire le peculiarità locali e le situazioni economico sociali contingenti ed, a volte, sono, il risultato di un maldestro copia ed incolla

La presenza di validi funzionari animati da grande buona volontà da sola non basta. Un Dirigente non può, da solo, scrivere un Bando. Sono necessarie competenze multidisciplinari che, probabilmente, una singola persona non ha.

Basterebbe poco.

Concentrare la redazione fisica dei Bandi presso un ufficio del Dipartimento Regionale alla Programmazione fortemente interconnesso con gli attori dello sviluppo locale e le università.

Poco, pochissimo, ma nessuno fa, nessuno dice, nessuno sembra lamentarsi.

Perché?

E che ne so?

Io sono di Marte.

(Contatta Francesco per email)

AGGIORNAMENTO: #piccolenotizie che fanno NOTIZIA!

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Questi tweet trasmessi dallo staff dell’Ufficio VII del MIUR annunciano una prima fetta di fondi erogati in anticipazione agli enti pubblici di ricerca e ai partner privati coinvolti nel Bando Startup.

L’erogazione riguarda anche il progetto #BookAlive ed è proprio il caso che alla notizia si dia risalto, in quanto questo accade, per l’appunto, anticipando il contributo (cfr. il mio post in merito).

A questo importante risultato si arriva grazie allo sforzo messo in campo dallo staff del Bando StartUp, in coordinamento con l’Unità di Controllo di I Livello (UniCO) per lo snellimento delle procedure.

Febbrilmente, i lavori procedono adesso anche per la rendicontazione in itinere del primo SAL già rendicontato.

Antonio Gentile

 

Strumenti di sostegno alle attività produttive: quale futuro

Ospitiamo in questo post l’opinione di Francesco Paolo Trapani, dottore commercialista e revisore legale con specifica esperienza in gestione di progetti di investimento assistiti, per approfondire il tema del sostegno alla attività produttive con suggerimenti operativi piuttosto che teorici. Alla vigilia della nuova programmazione settennale, ora più di prima è importante offrire contributi che siano maturati da chi ha passato lunghi anni in trincea. La speranza è quella di essere propositivi e, ovviamente, essere ascoltati.

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Implacabilmente, con l’approssimarsi del concreto avvio del ciclo settennale di programmazione comunitaria, riparte la discussione sull’efficacia del sistema regionale, nazionale ed europeo di sostegno alle attività produttive.

A lungo si è discusso dell’efficacia delle varie tipologie di sostegno e dei principi di politica economica alla base dei metodi di incentivazione anche con la partecipazione ed il contributo di valenti studiosi ed economisti.

Più raramente, tali argomenti sono stati affrontati con pragmatismo, cercando comprendere punti di forza e punti di debolezza degli strumenti normativi in campo.

Periodicamente, gli operatori del settore (al quale immeritatamente appartengo) hanno assistito al succedersi di ondate di movimenti di opinione contro un determinato strumento di incentivazione, tutti legati a doppio filo ad una serie di luoghi comuni sull’argomento. Quante volte abbiamo sentito in questi ultimi anni parlare, soprattutto in ambienti politici, di “campi di margherite”, di “frammentazione della spesa”, “fondi spesi in mille rivoli”, di “peso eccessivo della burocrazia” senza che queste affermazioni si trasformassero in un concetto articolato, in una proposta sensata non condizionata dall’isteria del momento.

Negli ultimi anni abbiamo visto strumenti interamente costruiti su meccanismi autocertificativi sostituiti da logiche di controllo ossessive, procedure di valutazione basate su criteri oggettivi – ma complicati e fuori dal tempo – sostituite dagli odiosi meccanismi di erogazione mediante il click day mortificanti per il professionista e senza alcun senso dal punto di vista Politico Economico. Abbiamo assistito, in ultima istanza, a moti di opinione e decisione non supportati da analisi preventive, senza adeguato coinvolgimento dei professionisti del settore, forse gli unici soggetti in grado di fornire una valutazione la più oggettiva possibile, non condizionata da interessi politici e di categoria.

Ecco perché ho accolto con entusiasmo l’invito di Antonio Gentile. Poter affrontare il tema dal punto di vista del tecnico consulente dell’impresa è un’occasione che non mi sono lasciato sfuggire.

Considerata la platea dei potenziali lettori, certamente competenti a non specialisti, vorrei evitare accuratamente noiose dissertazioni su specifici aspetti dell’una piuttosto che sull’altra norma (almeno in questo contributo) per limitarmi ad alcune considerazioni di carattere generale, provando ad indicare ciò che ritengo debba essere modificato o migliorato nelle metodologie di sostegno delle attività produttive e della ricerca:

  1. Dal possesso delle carte al possesso dei requisiti. La maggior parte delle procedure per la concessione delle agevolazioni finanziarie, prevede la partecipazione a bandi pubblici. La prima selezione delle istanza avviene in sede di presentazione delle domande di accesso mediante l’esclusione di coloro che hanno omesso di allegare parte della documentazione richiesta, forsanche una semplice dichiarazione sostitutiva di atto notorio. Tale rigidità è giustificata dalla presunta necessità di velocizzare i tempi istruttori e garantire la pari trattamento a tutti gli aventi diritto ma finisce con il favorire le aziende marginali che sopravvivono solo grazie ai contributi pubblici e, proprio per questo, maggiormente in grado di produrre volumi spesso considerevoli di carte, dichiarazioni e progetti. Tutto ciò produce un evidente danno all’interesse collettivo in quanto non consente di valutare l’azienda maggiormente meritoria di essere incentivata quanto piuttosto quella maggiormente in grado di produrre carte… La soluzione è semplice: modificare l’approccio in sede istruttoria o valutativa consentendo alle aziende di poter integrare la documentazione mancate o dimostrare incontrovertibilmente, in un tempo ragionevole ma sufficientemente compresso (15 gg), il possesso dei requisiti di accesso richiesti dal bando.
  1. Certezza dei tempi istruttori. Le misure di natura valutativa sono spesso appesantite da lunghissime procedure di selezione e valutazione post istanza. Dopo la presentazione della domanda e dopo la “mannaia” di cui al punto precedente, si precipita in un limbo chiamato “istruttoria”. I tempi sono certi e compressi solo dal lato del beneficiario il quale, spesso, si trova costretto a dover risponde alle richieste di chiarimento dell’ente in tempi irragionevolmente brevi salvo poi attendere mesi una risposta, un parere da parte di esperti e valutatori. Proporrei, in questo caso, l’adozione dei principi del silenzio assenso onde motivare i soggetti preposti alle valutazione ad esprimersi in tempi rapidi
  1. Modificabilità dei partenariati. Gli ultimi cicli di programmazione hanno enfatizzato il ricorso a logiche di rete e partenariati complessi. In teoria i processi di stabile collaborazione (reti, meta distretti, distretti produttivi ecc.) possono determinare vantaggi competitivi per settori produttivi, aree o addirittura per interi paesi ma, per i progetti assistiti sono una autentica iattura. Maggiore è il numero di aziende che costituiscono un partenariato finanziato, maggiore è la probabilità che tale partenariato sia soggetto a modifiche a causa di variabili finanziarie, amministrative o produttive. Crisi d’impresa, modifiche societarie, liquidazioni, fallimenti di singoli partners spesso minoritari possono determinare il collasso dell’intera iniziativa. In questo caso, sarebbe auspicabile un impianto normativo tale da consentire le modifiche dei partners non più in grado di portare avanti l’iniziativa con altri soggetti interessati ed in grado di dimostrare il possesso dei requisiti di accesso a far data dalla presentazione della domanda.
  1. Certificabilità oggettiva dei piani finanziari di copertura. Uno dei principali motivi di crisi nell’avanzamento progettuale è direttamente connesso con crisi finanziarie e di liquidità del beneficiario. Di fronte ad una difficoltà di natura finanziaria, l’impresa è naturalmente portata a sospendere le spese “non indispensabili” e spesso, le spese relative ad investimenti materiali ma soprattutto immateriali, sono le prime della lista. Per ovviare a questo problema sarebbe opportuno introdurre un meccanismo di valutazione del piano finanziario di copertura del progetto proposto che, a parere di chi scrive, dovrebbe essere oggettivo e dimostrabile (ovviamente al netto del contributo) sin dal momento dell’ottenimento del decreto di concessione.

I quattro punti appena esposti costituiscono, a mio parere, un esempio di un approccio metodologico atto a migliorare, piuttosto che a cambiare radicalmente le procedure e le norme in atto e sono certamente discutibili nel senso che costituiscono certamente spunto di discussione.

Francesco Paolo Trapani
(Contatta Francesco per email)

Bando Startup: la strada è ancora lunga e tortuosa

Si è tenuto l’altro ieri, presso la sede del MIUR, il Tavolo Tecnico del Bando Startup, allargato alla partecipazione degli esperti tecnico-scientifici (ETS) e dei rappresentanti degli Istituti di Credito convenzionati (IC).

Le statistiche sul bando sono inclementi. A distanza di 18 mesi dalla pubblicazione dell’avviso, su 39 progetti approvati, 14 progetti sono ancora in attesa di stipula, 9 progetti sono bloccati dalla verifica di stabile organizzazione e sono 25 le richieste di anticipazione di soggetti privati in lavorazione, delle quali solo due quelle pronte e in attesa di mandato di pagamento.

Molti i progetti avviati, alcuni già in pieno terzo stato di avanzamento lavori (SAL) sui quattro previsti. Personale da pagare, consulenze e acquisti di attrezzature da effettuare, missioni e attività di disseminazione pianificate non possono certo aspettare.

Tuttavia, diciotto mesi sono trascorsi e soldi non ne sono stati ancora erogati, per nessuno. Nemmeno per gli Enti di ricerca pubblici, quelli che potevano ricevere l’anticipazione sino al 100% senza garanzie fideiussorie.

L’istituzione del Tavolo Tecnico prima, e il suo allargamento poi, è una innovazione che ha prodotto sicuramente un primo risultato: nomi, voci, indirizzi email e facce hanno trovato le loro corrispondenze in uomini e donne; per la prima volta, tutti gli attori del bando Startup si sono incontrati di persona.

Tuttavia questo è troppo poco.

E sono ancora tanti i problemi sul tappeto, ancora da affrontare:

  1. la verifica di stabile organizzazione è un catenaccio alle caviglie di tutti i partner, privati e pubblici: deve essere modificata;
  2. i SAL che si chiudono a ridosso delle ferie estive e natalizie sono una iattura;
  3. la rigida interpretazione delle verifiche intermedie richiede la ripetizione di tutta la trafila ogni sei mesi; è come dire che, dopo aver distrutto un muro, ce ne sono ancora quattro da demolire;
  4. la verifica intermedia semestrale richiede la certificazione della capacità di spesa delle startup per il semestre successivo. Ma se sappiamo già che le banche non le considerano affidabili per un minimo fido, come possiamo immaginare che le stesse le possano valutare capaci di sostenere una qualsivoglia forma di finanziamento?
  5. l’impossibilità di accedere a garanzie fideiussorie obbliga molte startup a dipendere dalla puntuale erogazione a valle della rendicontazione dei SAL: occorre garantire lo stretto rispetto dei tempi tecnici di erogazione.

Avere sulle spalle tutta questa fatica scatena il dramma: ma lo scopo di tutto ciò era fare ricerca innovativa o giocare a Monopoli?

Antonio Gentile

 

Il Tavolo Tecnico alla prova del fuoco!

Se non ci fosse lo si dovrebbe inventare.

Perchè, senza l’istituzione del Tavolo Tecnico del MIUR per il Bando Startup oggi non sarei qui a raccontare di questo progetto, di BookAlive.

Istituito come strumento di condivisione di idee e troubleshooting in itinere del complesso processo di rendicontazione dei progetti del bando Startup, ha riunito sino ad ora lo staff del MIUR e i sei rappresentanti delle tre Linee del bando.

Un confronto aperto e costruttivo con il MIUR che ha permesso di governare un iter complesso che ha però coinvolto anche altri attori, quali gli Esperti Tecnico-Scientifici e gli Istituti di Credito Convenzionati.

Domani, lunedì 20 ottobre 2014, il Tavolo Tecnico sarà messo alla prova del fuoco!

Per la prima volta, infatti, si terrà in Roma presso il MIUR, il Tavolo Tecnico in sessione allargata agli esperti tecnico-scientifici e ai rappresentanti degli Istituti di Credito convenzionati.

L’obiettivo di questo incontro è quello di propagare lo stesso approccio costruttivo alla risoluzione delle tante difficoltà normative che questo bando innovativo fronteggia e che solo attraverso un confronto diretto tra le persone coinvolte può essere conseguito.

La riuscita dell’intera misura dipende dalla capacità di tutti gli attori di collaborare attivamente alla ricerca di soluzioni e semplificazioni, nella consapevolezza di lavorare condividendo obiettivi e metodi.

Un risultato che può essere conseguito soltanto se le persone coinvolte si guardano in faccia, sedute allo stesso tavolo.

Ed è quello che accadrà finalmente domani, e sarà la prova del fuoco.

Riuscirà questo nuovo strumento collaborativo a far partire anche la finanza del progetto? Lo scopriremo alla prossima puntata.

Antonio Gentile

 

BOTTA E RISPOSTA: Arcuri di Invitalia apre alla possibilità di prestiti partecipativi alle startup innovative

Studiamo un modo per intervenire nel capitale privato di imprese innovative: sarà temporaneo e contestuale all’intervento di soggetti privati

così ha dichiarato Domenico Arcuri, CEO di Invitalia (Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa) nel corso del suo intervento al convegno organizzato dall’Ente a Roma (EconomyUP).

Sembra quasi fare eco alla closing line del mio post precedente sul tema, in cui avevo ripreso analoga osservazione di Abirascid.

Meglio tardi che mai, aggiungo, anche se di solo annuncio per ora si tratta.

Antonio Gentile

La rivoluzione Guidi e il nuovo bando Smart&Start

Lo spunto deriva dal clamore suscitato dal nuovo decreto del Ministro dello Sviluppo economico, Federica Guidi, il quale rivede le previsioni del (lo s)fortunato bando Smart&Start di gestione Invitalia (Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa): una rivoluzione perché è annunciata la fine degli investimenti a fondo perduto a favore di sovvenzioni a tasso zero fino al 70% delle spese ammesse!

I dettagli li fornisce Luciana Maci, su EconomyUp e che riassumo brevemente nei cinque punti fondamentali del nuovo bando Smart&Start (finanziato con una dotazione di 200 milioni di euro) e che val la pena di ricordare:

  1. Agevolazioni estese a tutto il territorio Italiano;
  2. Estensione, oltre che alle startup innovative (ovvero con meno di 48 mesi dalla fondazione), anche a persone fisiche Italiane e non, che intendano fondarne una con il finanziamento richiesto;
  3. Tetto massimo del contributo agevolato aumentato a 500.000 euro, per progetti del valore tra 100.000 e 1,5 milioni di euro;
  4. Prestito a tasso zero fino al 70% del costo del progetto, che può diventare l’80% in caso di compagini interamente femminili o che includano ricercatori che rientrano dall’estero;
  5. Fondo perduto solo per le startup meridionali e limitato all’80% del contributo prestato.

L’innovazione è senz’altro importante. Peccato però che si continua ad andare nella direzione nota: rimborso spese e rapporto non dichiarato con gli Istituti di Credito (IC), che dovranno gestire la misura. Come del resto conferma lo stesso Domenico Arcuri, CEO di Invitalia (Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa) nel corso del suo intervento al convegno organizzato dall’Ente a Roma (EconomyUP). quando dice che, almeno per il momento

piuttosto che spendere male preferiamo restituirli,

gli investimenti, per cui ricerca e innovazione a rimborso anche questa volta.

In generale, il rimborso delle spese andrebbe pure bene- sapendolo prima, le startup si possono organizzare per acquisire  gli investimenti per altre vie all’inizio del programma e chi potrà parteciperà.

L’esperienza di chi ci prova però è di tutt’altro segno, come il caso della Biemme Finestre di Vibo Valentia raccontato su EconomyUp  da Luciana Maci, o quella di un altro startupper raccontata su StartUp Business da Emil Abirascid.

Ciò che davvero serve è che la relazione con gli IC sia dichiarata e regolata, onde evitare i paradossi dovuti ad interpretazioni diverse delle condizioni economico-patrimoniali delle aziende partecipanti, dichiaratamente startup. E, peggio ancora, quelli dovuti a   interpretazioni diverse della variabile tempo, misurata in giornate e assai più spesso ore dalle startup, e in settimane e mesi, anni alle volte,  dalle banche.

Sarebbe probabilmente SMART agire in altri modi per incentivare le STARTup, come per esempio suggerisce Emil Abirascid quando dice:

le startup si fanno con l’equity e non con i prestiti.
Antonio Gentile

#MatteoStartUsUp!

Lettera aperta al Presidente del Consiglio On. Matteo Renzi

Presidente,

nel Marzo 2013 il MIUR ha emesso il primo  bando di finanziamento diretto alle startup innovative delle regioni in obiettivo convergenza, a valere sui fondi PAC (Bando Startup).

Le intrinseche caratteristiche delle startup innovative, le loro fragili strutture finanziarie, hanno inizialmente reso impossibile l’attuazione della misura con le regole stabilite per il PONREC. Il MIUR (Ufficio VII AT-PAC) ha attivato da subito numerose semplificazioni per permettere la partecipazione delle giovani Aziende, strategicamente importanti per le economie delle regioni del meridione d’Italia.

L’istituzione di un tavolo tecnico con i rappresentanti dei 38 progetti ammessi a finanziamento ha permesso la rimozione di numerosi ostacoli normativi permettendo un confronto aperto e costruttivo con il MIUR.

Con un iter complesso, che ha coinvolto il MIUR, gli Esperti Tecnico-Scientifici e gli Istituti di Credito Convenzionati, si è arrivati all’avvio della maggior parte dei progetti e alla stipula degli atti.

Siamo adesso davanti ad uno stallo. La palla è nelle mani degli Istituti di credito che sono responsabili in solido della riuscita dell’intera iniziativa, ma che agiscono come se fossero parte terza.

Sarebbe opportuno che lo spirito che ha animato l’azione del MIUR venga fatto proprio dagli Istituti di Credito in modo da eliminare tempestivamente gli ostacoli e accelerare i tempi di risposta.

Ulteriori ritardi inevitabilmente porteranno al collasso di molte delle più innovative startup delle regioni in obiettivo convergenza. E al fallimento di tutta la misura, nata proprio per incentivarle.

Questi i fatti. A te intervenire.

Antonio Gentile

Duello a tre: per un pugno di SAL!

Nel processo di finanza agevolata, per l’innovazione e la ricerca industriale nelle piccole e medie imprese (PMI), intervengono tre partecipanti: lo Stato, le PMI  e le banche.

Tutto funziona in un ciclo virtuoso di collaborazione tra le parti. Lo Stato emette un bando a valere su fondi, propri o dell’UE. Le PMI propongono un progetto e un budget di spesa. Le banche verificano la solidità economico-patrimoniale delle proponenti e valutano i progetti. Fino a capienza dei fondi, i progetti vengono ammessi a finanziamento e le proponenti ammesse a nuova verifica (essendo nel frattempo passato del tempo). Quindi, con i decreti di concessione, lo Stato dà mandato di avvio dei progetti alle PMI che eseguono. Con cadenza nota, le PMI predispongono degli stati di avanzamento lavoro (SAL) che vengono valutati di nuovo dalle banche. Ad esito positivo corrisponde l’erogazione di una porzione di contributo.

Così si procede, da un SAL al successivo fino alla conclusione del progetto. Lo Stato a questo punto acquisisce tutta la documentazione finale e avvia la verifica finale di progetto; ulteriore verifica da parte delle banche e quindi erogazione del saldo finale. Un ciclo virtuoso, fatto di collaborazione tra tre partner, Stato, PMI e banche, capace di incentivare ricerca industriale e innovazione.

La timeline

Il tempo però non gioca a favore. Un progetto di 24 mesi produce almeno quattro SAL semestrali. Ciascun SAL va rendicontato, verificato, integrato e certificato, entro 90 giorni, in modo da avere tempo per predisporre il pagamento del contributo previsto per quelle attività di progetto entro il termine del SAL successivo. In ultimo, lo Stato impiega fino a cinque anni dalla conclusione del progetto per la verifica e il rilascio del saldo.

Tutti collaborando, in sette anni al massimo il progetto è terminato e l’innovazione trasferita ad aziende e territorio. Sette anni? per un programma di investimento di appena due?

Non si finanzia, dunque, la ricerca industriale ma piuttosto la si rimborsa. Nel migliore dei casi.

Come se questo non bastasse, i partner poi così partner non sono.

Diffidano gli uni degli altri.

Si innesca in realtà un duello a tre.

Lo Stato pensa che le PMI vogliano frodare, acquisendo fondi con progetti fittizi da non realizzare. Le PMI sanno che lo Stato paga tardi e non dispongono comunque della liquidità necessaria per completare due o tre SAL di progetto. Le banche reputano lo Stato un pessimo debitore, e dunque non affidano le PMI nelle quali hanno comunque altrettanto scarsa fiducia. I tempi si allungano, l’innovazione diventa obsoleta, gli stipendi vengono ritardati, e le PMI girano a vuoto, sino al collasso.

In pratica, dei tre duellanti, uno muore a causa del coalizzarsi degli altri due. Lo Stato e le banche finiscono con il fare fuori proprio chi volevano incentivare. Non vi sembra paradossale?

Stato e banche si comportano come la guardia buona e quella cattiva.

In questo duello a tre non dichiarato, lo Stato bonariamente interviene e si dichiara pronto a rilasciare un anticipo del contributo concesso, spesso anche metà, consapevole che le PMI sono spesso patrimonializzate poco e, sotto sotto, consapevole della lentezza dei suoi procedimenti.

Quindi si fida delle PMI, direte voi. E invece no. Ben diversamente da come avviene con i progetti della UE che si fida fino a prova contraria, lo Stato esige che qualcun altro garantisca per le private PMI e quindi richiede adeguata fideiussione.

La fideiussione costa, ma molto meno di quanto costerebbe farsi anticipare la somma dalle banche, che come ho detto ben si guardano dall’affidare le PMI nei confronti di quel pessimo pagatore che è lo Stato. Quindi le PMI si impegnano, e si indebitano, a loro volta ponendo a garanzia i beni dei propri soci, che si coobbligato. Le PMI credono al progetto, e quindi procedono e fanno istanza di anticipazione.

E qui intervengono di nuovo le banche, quest’altra volta a stabilire se la fideiussione è accettabile e se le condizioni economico-patrimoniali sono adeguate all’erogazione. La guardia cattiva valuta, guarda, ispeziona, domanda, chiede integrazioni. Il tempo passa, i SAL si susseguono, e i soldi non arrivano. Ma avendo la PMI chiesto l’anticipo, nulla altro ha a pretendere fino a fine progetto, quando il saldo sarà rilasciato entro cinque anni dalla sua conclusione…solo che forse la PMI è fallita prima, portando i libri in tribunale magari lo stesso giorno in cui arriva l’anticipazione!

Penso che possiamo fare molto meglio.

Basta guardare come si fa in Europa.
Ce lo chiede l’Europa!

Antonio Gentile

La ricerca si finanzia, o si rimborsa?

La quasi totalità della ricerca industriale in Italia avviene attraverso il rimborso statale dell’investimento. Salvo quando, in condizioni particolari, lo Stato concede un’anticipazione parziale sulla base del progetto. Questo modello è stato adottato per aiutare le grandi aziende  che intendono fare ricerca finalizzata all’innovazione.

Applicare lo stesso modello ad altri casi, per esempio alle startup, conduce a paradossi che è quasi impossibile superare. Vediamo perchè.

Dal momento che si agisce ex-post, a rimborso, lo Stato si appoggia in tutte le fasi di progetto, dalla valutazione della capacità delle imprese di svolgere e beneficiare dei risultati della ricerca alla effettiva erogazione dei fondi, alle banche. Purtroppo le banche applicano le loro procedure di valutazione della situazione economico-finanziaria dell’azienda, più o meno come se dovessero concedere un fido, e finiscono con l’essere parte terza, supremo arbiter delle transazioni tra Stato e proponenti, secondo regole e tempi dettate esclusivamente dai propri tornaconti.

Quando l’azienda che investe è una startup, spesso sottopatrimonializzata,  il cerchio non si chiude e le banche si tengono stretto il vantaggioso abbattimento del costo del denaro e sotto chiave i fondi UE (Geremy, un nome per tutti) destinati alle incentivazioni delle PMI e delle startup in particolare.

Intendiamoci, le banche sono ben felici di partecipare a questo gioco, ma pioché pensano che il peggior debitore al mondo sia proprio lo Stato, non pensano nemmeno per un attimo di facilitare l’ingranaggio affidando le startup. Di giorno tessono e di notte disfano, in attesa di tempi migliori.

Nessuna startup può permettersi di condurre una ricerca industriale in cui le anticipazioni arrivano a fine progetto, le valutazioni dei SAL dopo la conclusione e il saldo del contributo entro cinque anni dalla fine del progetto. Non si può chiedere a giovani aziende composte da giovani innovatori di finanziare un’attività di ricerca con le risorse delle loro famiglie e dei loro amici.

Il modello a rimborso semplicemente non funziona.

Alle startup la scelta: rinunciare alla ricerca e al progetto, svendere la propria attività a qualcuno (sempre che si trovi) vanificando anni di sforzi, oppure entrare in quell’area grigia del “si fa quel che si può”.

Antonio Gentile