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AGGIORNAMENTO: #piccolenotizie che fanno NOTIZIA!

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Questi tweet trasmessi dallo staff dell’Ufficio VII del MIUR annunciano una prima fetta di fondi erogati in anticipazione agli enti pubblici di ricerca e ai partner privati coinvolti nel Bando Startup.

L’erogazione riguarda anche il progetto #BookAlive ed è proprio il caso che alla notizia si dia risalto, in quanto questo accade, per l’appunto, anticipando il contributo (cfr. il mio post in merito).

A questo importante risultato si arriva grazie allo sforzo messo in campo dallo staff del Bando StartUp, in coordinamento con l’Unità di Controllo di I Livello (UniCO) per lo snellimento delle procedure.

Febbrilmente, i lavori procedono adesso anche per la rendicontazione in itinere del primo SAL già rendicontato.

Antonio Gentile

 

Strumenti di sostegno alle attività produttive: quale futuro

Ospitiamo in questo post l’opinione di Francesco Paolo Trapani, dottore commercialista e revisore legale con specifica esperienza in gestione di progetti di investimento assistiti, per approfondire il tema del sostegno alla attività produttive con suggerimenti operativi piuttosto che teorici. Alla vigilia della nuova programmazione settennale, ora più di prima è importante offrire contributi che siano maturati da chi ha passato lunghi anni in trincea. La speranza è quella di essere propositivi e, ovviamente, essere ascoltati.

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Implacabilmente, con l’approssimarsi del concreto avvio del ciclo settennale di programmazione comunitaria, riparte la discussione sull’efficacia del sistema regionale, nazionale ed europeo di sostegno alle attività produttive.

A lungo si è discusso dell’efficacia delle varie tipologie di sostegno e dei principi di politica economica alla base dei metodi di incentivazione anche con la partecipazione ed il contributo di valenti studiosi ed economisti.

Più raramente, tali argomenti sono stati affrontati con pragmatismo, cercando comprendere punti di forza e punti di debolezza degli strumenti normativi in campo.

Periodicamente, gli operatori del settore (al quale immeritatamente appartengo) hanno assistito al succedersi di ondate di movimenti di opinione contro un determinato strumento di incentivazione, tutti legati a doppio filo ad una serie di luoghi comuni sull’argomento. Quante volte abbiamo sentito in questi ultimi anni parlare, soprattutto in ambienti politici, di “campi di margherite”, di “frammentazione della spesa”, “fondi spesi in mille rivoli”, di “peso eccessivo della burocrazia” senza che queste affermazioni si trasformassero in un concetto articolato, in una proposta sensata non condizionata dall’isteria del momento.

Negli ultimi anni abbiamo visto strumenti interamente costruiti su meccanismi autocertificativi sostituiti da logiche di controllo ossessive, procedure di valutazione basate su criteri oggettivi – ma complicati e fuori dal tempo – sostituite dagli odiosi meccanismi di erogazione mediante il click day mortificanti per il professionista e senza alcun senso dal punto di vista Politico Economico. Abbiamo assistito, in ultima istanza, a moti di opinione e decisione non supportati da analisi preventive, senza adeguato coinvolgimento dei professionisti del settore, forse gli unici soggetti in grado di fornire una valutazione la più oggettiva possibile, non condizionata da interessi politici e di categoria.

Ecco perché ho accolto con entusiasmo l’invito di Antonio Gentile. Poter affrontare il tema dal punto di vista del tecnico consulente dell’impresa è un’occasione che non mi sono lasciato sfuggire.

Considerata la platea dei potenziali lettori, certamente competenti a non specialisti, vorrei evitare accuratamente noiose dissertazioni su specifici aspetti dell’una piuttosto che sull’altra norma (almeno in questo contributo) per limitarmi ad alcune considerazioni di carattere generale, provando ad indicare ciò che ritengo debba essere modificato o migliorato nelle metodologie di sostegno delle attività produttive e della ricerca:

  1. Dal possesso delle carte al possesso dei requisiti. La maggior parte delle procedure per la concessione delle agevolazioni finanziarie, prevede la partecipazione a bandi pubblici. La prima selezione delle istanza avviene in sede di presentazione delle domande di accesso mediante l’esclusione di coloro che hanno omesso di allegare parte della documentazione richiesta, forsanche una semplice dichiarazione sostitutiva di atto notorio. Tale rigidità è giustificata dalla presunta necessità di velocizzare i tempi istruttori e garantire la pari trattamento a tutti gli aventi diritto ma finisce con il favorire le aziende marginali che sopravvivono solo grazie ai contributi pubblici e, proprio per questo, maggiormente in grado di produrre volumi spesso considerevoli di carte, dichiarazioni e progetti. Tutto ciò produce un evidente danno all’interesse collettivo in quanto non consente di valutare l’azienda maggiormente meritoria di essere incentivata quanto piuttosto quella maggiormente in grado di produrre carte… La soluzione è semplice: modificare l’approccio in sede istruttoria o valutativa consentendo alle aziende di poter integrare la documentazione mancate o dimostrare incontrovertibilmente, in un tempo ragionevole ma sufficientemente compresso (15 gg), il possesso dei requisiti di accesso richiesti dal bando.
  1. Certezza dei tempi istruttori. Le misure di natura valutativa sono spesso appesantite da lunghissime procedure di selezione e valutazione post istanza. Dopo la presentazione della domanda e dopo la “mannaia” di cui al punto precedente, si precipita in un limbo chiamato “istruttoria”. I tempi sono certi e compressi solo dal lato del beneficiario il quale, spesso, si trova costretto a dover risponde alle richieste di chiarimento dell’ente in tempi irragionevolmente brevi salvo poi attendere mesi una risposta, un parere da parte di esperti e valutatori. Proporrei, in questo caso, l’adozione dei principi del silenzio assenso onde motivare i soggetti preposti alle valutazione ad esprimersi in tempi rapidi
  1. Modificabilità dei partenariati. Gli ultimi cicli di programmazione hanno enfatizzato il ricorso a logiche di rete e partenariati complessi. In teoria i processi di stabile collaborazione (reti, meta distretti, distretti produttivi ecc.) possono determinare vantaggi competitivi per settori produttivi, aree o addirittura per interi paesi ma, per i progetti assistiti sono una autentica iattura. Maggiore è il numero di aziende che costituiscono un partenariato finanziato, maggiore è la probabilità che tale partenariato sia soggetto a modifiche a causa di variabili finanziarie, amministrative o produttive. Crisi d’impresa, modifiche societarie, liquidazioni, fallimenti di singoli partners spesso minoritari possono determinare il collasso dell’intera iniziativa. In questo caso, sarebbe auspicabile un impianto normativo tale da consentire le modifiche dei partners non più in grado di portare avanti l’iniziativa con altri soggetti interessati ed in grado di dimostrare il possesso dei requisiti di accesso a far data dalla presentazione della domanda.
  1. Certificabilità oggettiva dei piani finanziari di copertura. Uno dei principali motivi di crisi nell’avanzamento progettuale è direttamente connesso con crisi finanziarie e di liquidità del beneficiario. Di fronte ad una difficoltà di natura finanziaria, l’impresa è naturalmente portata a sospendere le spese “non indispensabili” e spesso, le spese relative ad investimenti materiali ma soprattutto immateriali, sono le prime della lista. Per ovviare a questo problema sarebbe opportuno introdurre un meccanismo di valutazione del piano finanziario di copertura del progetto proposto che, a parere di chi scrive, dovrebbe essere oggettivo e dimostrabile (ovviamente al netto del contributo) sin dal momento dell’ottenimento del decreto di concessione.

I quattro punti appena esposti costituiscono, a mio parere, un esempio di un approccio metodologico atto a migliorare, piuttosto che a cambiare radicalmente le procedure e le norme in atto e sono certamente discutibili nel senso che costituiscono certamente spunto di discussione.

Francesco Paolo Trapani
(Contatta Francesco per email)

Bando Startup: la strada è ancora lunga e tortuosa

Si è tenuto l’altro ieri, presso la sede del MIUR, il Tavolo Tecnico del Bando Startup, allargato alla partecipazione degli esperti tecnico-scientifici (ETS) e dei rappresentanti degli Istituti di Credito convenzionati (IC).

Le statistiche sul bando sono inclementi. A distanza di 18 mesi dalla pubblicazione dell’avviso, su 39 progetti approvati, 14 progetti sono ancora in attesa di stipula, 9 progetti sono bloccati dalla verifica di stabile organizzazione e sono 25 le richieste di anticipazione di soggetti privati in lavorazione, delle quali solo due quelle pronte e in attesa di mandato di pagamento.

Molti i progetti avviati, alcuni già in pieno terzo stato di avanzamento lavori (SAL) sui quattro previsti. Personale da pagare, consulenze e acquisti di attrezzature da effettuare, missioni e attività di disseminazione pianificate non possono certo aspettare.

Tuttavia, diciotto mesi sono trascorsi e soldi non ne sono stati ancora erogati, per nessuno. Nemmeno per gli Enti di ricerca pubblici, quelli che potevano ricevere l’anticipazione sino al 100% senza garanzie fideiussorie.

L’istituzione del Tavolo Tecnico prima, e il suo allargamento poi, è una innovazione che ha prodotto sicuramente un primo risultato: nomi, voci, indirizzi email e facce hanno trovato le loro corrispondenze in uomini e donne; per la prima volta, tutti gli attori del bando Startup si sono incontrati di persona.

Tuttavia questo è troppo poco.

E sono ancora tanti i problemi sul tappeto, ancora da affrontare:

  1. la verifica di stabile organizzazione è un catenaccio alle caviglie di tutti i partner, privati e pubblici: deve essere modificata;
  2. i SAL che si chiudono a ridosso delle ferie estive e natalizie sono una iattura;
  3. la rigida interpretazione delle verifiche intermedie richiede la ripetizione di tutta la trafila ogni sei mesi; è come dire che, dopo aver distrutto un muro, ce ne sono ancora quattro da demolire;
  4. la verifica intermedia semestrale richiede la certificazione della capacità di spesa delle startup per il semestre successivo. Ma se sappiamo già che le banche non le considerano affidabili per un minimo fido, come possiamo immaginare che le stesse le possano valutare capaci di sostenere una qualsivoglia forma di finanziamento?
  5. l’impossibilità di accedere a garanzie fideiussorie obbliga molte startup a dipendere dalla puntuale erogazione a valle della rendicontazione dei SAL: occorre garantire lo stretto rispetto dei tempi tecnici di erogazione.

Avere sulle spalle tutta questa fatica scatena il dramma: ma lo scopo di tutto ciò era fare ricerca innovativa o giocare a Monopoli?

Antonio Gentile

 

Il Tavolo Tecnico alla prova del fuoco!

Se non ci fosse lo si dovrebbe inventare.

Perchè, senza l’istituzione del Tavolo Tecnico del MIUR per il Bando Startup oggi non sarei qui a raccontare di questo progetto, di BookAlive.

Istituito come strumento di condivisione di idee e troubleshooting in itinere del complesso processo di rendicontazione dei progetti del bando Startup, ha riunito sino ad ora lo staff del MIUR e i sei rappresentanti delle tre Linee del bando.

Un confronto aperto e costruttivo con il MIUR che ha permesso di governare un iter complesso che ha però coinvolto anche altri attori, quali gli Esperti Tecnico-Scientifici e gli Istituti di Credito Convenzionati.

Domani, lunedì 20 ottobre 2014, il Tavolo Tecnico sarà messo alla prova del fuoco!

Per la prima volta, infatti, si terrà in Roma presso il MIUR, il Tavolo Tecnico in sessione allargata agli esperti tecnico-scientifici e ai rappresentanti degli Istituti di Credito convenzionati.

L’obiettivo di questo incontro è quello di propagare lo stesso approccio costruttivo alla risoluzione delle tante difficoltà normative che questo bando innovativo fronteggia e che solo attraverso un confronto diretto tra le persone coinvolte può essere conseguito.

La riuscita dell’intera misura dipende dalla capacità di tutti gli attori di collaborare attivamente alla ricerca di soluzioni e semplificazioni, nella consapevolezza di lavorare condividendo obiettivi e metodi.

Un risultato che può essere conseguito soltanto se le persone coinvolte si guardano in faccia, sedute allo stesso tavolo.

Ed è quello che accadrà finalmente domani, e sarà la prova del fuoco.

Riuscirà questo nuovo strumento collaborativo a far partire anche la finanza del progetto? Lo scopriremo alla prossima puntata.

Antonio Gentile

 

La ricerca si finanzia, o si rimborsa?

La quasi totalità della ricerca industriale in Italia avviene attraverso il rimborso statale dell’investimento. Salvo quando, in condizioni particolari, lo Stato concede un’anticipazione parziale sulla base del progetto. Questo modello è stato adottato per aiutare le grandi aziende  che intendono fare ricerca finalizzata all’innovazione.

Applicare lo stesso modello ad altri casi, per esempio alle startup, conduce a paradossi che è quasi impossibile superare. Vediamo perchè.

Dal momento che si agisce ex-post, a rimborso, lo Stato si appoggia in tutte le fasi di progetto, dalla valutazione della capacità delle imprese di svolgere e beneficiare dei risultati della ricerca alla effettiva erogazione dei fondi, alle banche. Purtroppo le banche applicano le loro procedure di valutazione della situazione economico-finanziaria dell’azienda, più o meno come se dovessero concedere un fido, e finiscono con l’essere parte terza, supremo arbiter delle transazioni tra Stato e proponenti, secondo regole e tempi dettate esclusivamente dai propri tornaconti.

Quando l’azienda che investe è una startup, spesso sottopatrimonializzata,  il cerchio non si chiude e le banche si tengono stretto il vantaggioso abbattimento del costo del denaro e sotto chiave i fondi UE (Geremy, un nome per tutti) destinati alle incentivazioni delle PMI e delle startup in particolare.

Intendiamoci, le banche sono ben felici di partecipare a questo gioco, ma pioché pensano che il peggior debitore al mondo sia proprio lo Stato, non pensano nemmeno per un attimo di facilitare l’ingranaggio affidando le startup. Di giorno tessono e di notte disfano, in attesa di tempi migliori.

Nessuna startup può permettersi di condurre una ricerca industriale in cui le anticipazioni arrivano a fine progetto, le valutazioni dei SAL dopo la conclusione e il saldo del contributo entro cinque anni dalla fine del progetto. Non si può chiedere a giovani aziende composte da giovani innovatori di finanziare un’attività di ricerca con le risorse delle loro famiglie e dei loro amici.

Il modello a rimborso semplicemente non funziona.

Alle startup la scelta: rinunciare alla ricerca e al progetto, svendere la propria attività a qualcuno (sempre che si trovi) vanificando anni di sforzi, oppure entrare in quell’area grigia del “si fa quel che si può”.

Antonio Gentile