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#MatteoStartUsUp!

Lettera aperta al Presidente del Consiglio On. Matteo Renzi

Presidente,

nel Marzo 2013 il MIUR ha emesso il primo  bando di finanziamento diretto alle startup innovative delle regioni in obiettivo convergenza, a valere sui fondi PAC (Bando Startup).

Le intrinseche caratteristiche delle startup innovative, le loro fragili strutture finanziarie, hanno inizialmente reso impossibile l’attuazione della misura con le regole stabilite per il PONREC. Il MIUR (Ufficio VII AT-PAC) ha attivato da subito numerose semplificazioni per permettere la partecipazione delle giovani Aziende, strategicamente importanti per le economie delle regioni del meridione d’Italia.

L’istituzione di un tavolo tecnico con i rappresentanti dei 38 progetti ammessi a finanziamento ha permesso la rimozione di numerosi ostacoli normativi permettendo un confronto aperto e costruttivo con il MIUR.

Con un iter complesso, che ha coinvolto il MIUR, gli Esperti Tecnico-Scientifici e gli Istituti di Credito Convenzionati, si è arrivati all’avvio della maggior parte dei progetti e alla stipula degli atti.

Siamo adesso davanti ad uno stallo. La palla è nelle mani degli Istituti di credito che sono responsabili in solido della riuscita dell’intera iniziativa, ma che agiscono come se fossero parte terza.

Sarebbe opportuno che lo spirito che ha animato l’azione del MIUR venga fatto proprio dagli Istituti di Credito in modo da eliminare tempestivamente gli ostacoli e accelerare i tempi di risposta.

Ulteriori ritardi inevitabilmente porteranno al collasso di molte delle più innovative startup delle regioni in obiettivo convergenza. E al fallimento di tutta la misura, nata proprio per incentivarle.

Questi i fatti. A te intervenire.

Antonio Gentile

La ricerca si finanzia, o si rimborsa?

La quasi totalità della ricerca industriale in Italia avviene attraverso il rimborso statale dell’investimento. Salvo quando, in condizioni particolari, lo Stato concede un’anticipazione parziale sulla base del progetto. Questo modello è stato adottato per aiutare le grandi aziende  che intendono fare ricerca finalizzata all’innovazione.

Applicare lo stesso modello ad altri casi, per esempio alle startup, conduce a paradossi che è quasi impossibile superare. Vediamo perchè.

Dal momento che si agisce ex-post, a rimborso, lo Stato si appoggia in tutte le fasi di progetto, dalla valutazione della capacità delle imprese di svolgere e beneficiare dei risultati della ricerca alla effettiva erogazione dei fondi, alle banche. Purtroppo le banche applicano le loro procedure di valutazione della situazione economico-finanziaria dell’azienda, più o meno come se dovessero concedere un fido, e finiscono con l’essere parte terza, supremo arbiter delle transazioni tra Stato e proponenti, secondo regole e tempi dettate esclusivamente dai propri tornaconti.

Quando l’azienda che investe è una startup, spesso sottopatrimonializzata,  il cerchio non si chiude e le banche si tengono stretto il vantaggioso abbattimento del costo del denaro e sotto chiave i fondi UE (Geremy, un nome per tutti) destinati alle incentivazioni delle PMI e delle startup in particolare.

Intendiamoci, le banche sono ben felici di partecipare a questo gioco, ma pioché pensano che il peggior debitore al mondo sia proprio lo Stato, non pensano nemmeno per un attimo di facilitare l’ingranaggio affidando le startup. Di giorno tessono e di notte disfano, in attesa di tempi migliori.

Nessuna startup può permettersi di condurre una ricerca industriale in cui le anticipazioni arrivano a fine progetto, le valutazioni dei SAL dopo la conclusione e il saldo del contributo entro cinque anni dalla fine del progetto. Non si può chiedere a giovani aziende composte da giovani innovatori di finanziare un’attività di ricerca con le risorse delle loro famiglie e dei loro amici.

Il modello a rimborso semplicemente non funziona.

Alle startup la scelta: rinunciare alla ricerca e al progetto, svendere la propria attività a qualcuno (sempre che si trovi) vanificando anni di sforzi, oppure entrare in quell’area grigia del “si fa quel che si può”.

Antonio Gentile