Tutti gli articoli di Antonio Massara

Un funerale senza feretro

Tutta la storia del libro sul Funerale di Filippo IV di cui ci stiamo occupando è ricca di consistenti sorprese.

La prima, apparentemente banale, è che manca il feretro.

Nell’incisione  della processione che illustra il libro non c’è nessuna bara, neanche vuota.
Ma allora, se non c’è il morto, chi si accompagna?
Nessuno, è una processione per farsi vedere.

Tutti sapranno di essere lì per commemorare un illustre defunto, un Re, il Re Pianeta, come fu chiamato, un Imperatore Mondiale.

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Ma siccome in realtà lui è già morto parecchio tempo prima ed è stato inumato nel famosissimo e lontanissimo Escorial, il funerale di Palermo è teatro dell’assurdo. Oppure semplice comunicazione promozionale della struttura del potere.
Ed è proprio quello che fu: teatro della politica, rappresentazione del potere, festa popolare per dire addio ad un Re lontano e salutare quello che viene, è già venuto, è già sul trono. Dobbiamo fargli sapere che il suo popolo lo ama (e in primo luogo i suoi delegati).

Noi che siamo cittadini del XXI secolo possiamo sorridere beffardi al pensiero di un funerale in cui non c’è il morto, ma allora non c’era Internet, nè la radio e neppure la televisione. Esistevano i libri a stampa dalla metà del ‘400 ma chi li leggeva? Quasi nessuno.

Una notizia come la morte del Re si diffondeva rapida, passando di bocca in bocca, ma lasciava un vuoto: che è successo? Adesso, che succederà?

L’ultima domanda è la più grave per un amministratore locale del potere: il popolo non deve chiedersi cosa succederà perchè sarebbe pericoloso. Specie in province come quella siciliana, sempre infestate da moti e rivoluzioni, la percezione di un potere amministrativo e militare debole poteva essere causa di effetti devastanti. Il popolo invece deve sapere che non accadrà nulla. E lo deve sapere presto e nel modo più convincente possibile.

E come farlo se non con un bellissimo funerale che celebra il defunto, lo esalta, lo sublima come se fosse già ospite del paradiso, e nello stesso tempo annuncia il nuovo Re già insediato?

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La situazione doveva essere precaria.
Perchè mentre Filippo IV giaceva nella tomba monumentale dell’Escorial, a Palermo dovevano circolare le voci sulla salute cagionevole di Carlo, suo unico figlio maschio di appena quattro anni. Di lui si diceva (è lecito immaginarlo) che fosse perennemente in bilico tra la vita e la morte, che fosse tanto minorato da non aver nemmeno imparato a parlare e che la reggenza sarebbe stata assunta dalla famosa Regina Maria Anna D’Asburgo, madre naturale del piccolo Carlo.

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C’erano quindi tutte le possibili premesse perchè nelle lontane province dell’Impero si avessero timori circa una lunga fase di sangunose lotte per la successione. Cosa quindi meglio di una bella festa che consolidasse nella visione popolare il potere locale, legittimato e sostenuto da quello, distante e invisibile di un re infante e di sua madre?
E’ quello che si fece. Con grande profusione di uomini e mezzi.

Ed è quello che cercheremo di raccontare.

Html5 standard inevitabile

Abbiamo scritto in un insight di Informamuse come l’Html 5 sia una sorta di magnete per la condivisione dei  contenuti, un veicolo di convergenza culturale. Queste considerazioni riguardano anche progetti di ricerca come BookAlive che fanno della condivisione di storie il proprio focus culturale.
Prendiamo ulteriore spunto allora da un articolo su  elearningindustry.com che enumera le ragioni dell’adozione di questo linguaggio nell’industria dell’e-learning, per molti versi molto vicina alla realtà delle biblioteche, seppure con business models differenti.
L’articolo elenca una serie di motivi per accettare la realtà potenziale dell’Html5 per il learning.

In particolare vi segnaliamo al numero 3:

HTML5 is a universal working standard. There is an inevitability in the industry that HTML5 is already the worldwide reference for content creation that will drive and unify learning content production and the associated platforms to create and manage it.

Traduzione:

L’Html5 è uno standard di lavoro universale. E’ inevitabile che l’industria consideri l’Html 5 come il riferimento globale per la creazione di contenuti, destinata a guidare e unificare la produzione di contenuti didattici e le piattaforme correlate alla produzione e alla gestione degli stessi.

 Potremmo  riassumere tutti i punti proposti come segue:
– adattabilità al mobile (sempre più usato, anche nell’e-learning)
– non necessita di app dedicate;
– standard universale (vedi sopra);
– ampia e crescente disponibilità di professionalità  nel settore sviluppo;
– possibilità di creare oggetti di programmazione flessibili e chiari, capaci di connessioni operative robuste, flessibili e di alta resa, fattori estremamente importanti nel campo dell’e-learning;
– implementazione video (fuori dal Flash);
– moltiplicazione dell’offerta futura di semplici piattaforme  di sviluppo di piattaforme Html5 adatte all’e-learning.

Se associamo a queste considerazioni il potenziale del “quasi standard” ePub 3.0, il formato di ebook che sostanzialmente è fondato su Html5, dovremmo pensare che molte della app proprietarie oggi presenti sul mercato finiranno con l’immergersi anch’esse in questi mondo.
In più, come sappiamo, i browser si allargano. Dopo Chrome Os, adesso anche Firefox Os, il nuovo sistema operativo per smartphone. Potrà allargarsi anch’esso ai computer, così come ha fatto Chrome, proprio quando sembra che sia pronto il nuovo Windows 10.

Arriverà un giorno in cui compreremo un hardware mobile per decidere dopo che tipo di sistema operativo installare? Sta avvicinandosi il giorno in cui il browser web cancellerà la schiavitù da sistema operativo sul computer, specie se portatile?

A prescindere da queste domande, è chiaro che qualsivoglia sistema bibliotecario dovrà basarsi, se vuole diventare uno standard worldwide, su Html5. Perchè questo linguaggio sta diventando uno standard inevitabile per qualsiasi applicazione, semplice o complessa che sia, inaugurando un mondo molto diverso da quello che immaginavamo con un Html solo per i web site di branding promotion. Con la possibilità di chiedere aiuto a tutti i numerosissimi programmatori disponibili sul mercato. Qualsiasi altra soluzione, da qualunque parte proposta, nascerebbe obsoleta ancor prima di vedere la luce.

Il senso del tatto in una mostra: impossibile?

Nei musei e nelle mostre a tema il senso del tatto è relegato al biglietto d’ingresso, purtroppo.

Eppure è uno dei sensi più utili alla conoscenza e al ricordo delle esperienze, e sarebbe estremamente utile da utilizzare in occasione di mostre ed esposizioni, ma per ragioni ovvie è impossibile. Vige l’obbligatoria regola del “si guarda ma non si tocca.”

Come avvicinare il pubblico agli oggetti e alla cultura in esposizione utilizzando il senso del tatto?

Cominciamo dal fatto che, tranne in casi particolari, non si può davvero fare in concreto e in assoluto. Abbiamo provato ad immaginare che, nel caso di esposizioni di libri in pergamena, sarebbe possibile realizzare ex novo della pergamena in folio, opportunamente trattata, per esporla liberamente al senso del tatto dei visitatori. Ma abbiamo scartato l’idea: in un periodo invernale significherebbe far esplodere la pandemia di influenza.

Tuttavia ci sono modi, se volete “artistici”, di indurre il senso del tatto attraverso altri sensi, in particolare la vista. Nell’ambito della ricerca per Bookalive abbiamo fatto un esperimento. La domanda era: come fare indurre il senso del tatto sulla carta stampata attraverso la vista?

Abbiamo subito scartato l’idea dello “sfoglio” delle pagine in digitale su un grande schermo orizzontale. In questo caso infatti si utilizza il tatto per l’interazione digitale con il prodotto, e ciò distrae immediatamente: quel che si tocca è invariabilmente un vetro freddo, assai distante dalla trama calda della carta, a maggior ragione della pergamena. Qualunque artifizio visivo digitale per indurre il senso del tatto su un dispositivo digitale a vetro freddo sarebbe distratto dall’effettiva interazione dei polpastrelli col vetro.

Abbiamo quindi provato con alcuni esperimenti di macrofotografia. L’obiettivo era di fare “vedere” la microstruttura a rilievo della parte stampata di una pagina suscitando il senso del rilievo tattile.

Abbiamo provato con un volume su cui stavamo compiendo delle ricerche, stampato alla fine del 1800 su grandi pagine di ottima carta pesante, molto liscia. Questi sono alcuni primi risultati, incoraggianti, che fanno intravedere la potenzialità della tecnica.

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In sede di ripresa non abbiamo potuto avere un controllo efficace della luce per fattori ambientali e di tempo, ma siamo sicuri che i risultati potranno solo migliorare quando avremo più tempo e più spazio per poterci dedicare alla sperimentazione.

Il secondo esempio di “induzione tattile della vista” è quello che vi proponiamo.

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Sono modelli in scala ridotta di navi passeggeri dei primi dell’800 realizzato per conto di una compagnia di navigazione e mostrato nella esposizione “La Grande Trieste” di cui abbiamo trattato in precedenza. In questo caso si tratta di un oggetto di grandi dimensioni, che colto visivamente nella sua interezza viene decodificato come un’immagine. Tuttavia è forte l’impulso ad avvicinarsi alla teca di vetro per vedere da vicino i dettagli dell’oggetto, che sono straordinari, tutto merito dei superbi artigiani che l’hanno costruito in passato. I dettagli sono tanto minuti e tanto perfetti nella replica del vero da indurre al “ trasfert narrativo”, tipico dei diaporama di una volta, cioè la presa di visione in prima persona.

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Si finisce con l’immaginarsi di vagare sui ponti della nave come facevano i passeggeri di una volta. Non solo. La vicinanza al dettaglio ci sembra induca anche la sensazione tattile di poter toccare il modello, come se fosse davanti a noi senza la teca, perchè ne vediamo i dettagli tridimensionali, i colori leggermente scrostati dal tempo, la minuscola polvere che lo ricopre. La tridimensionalità dell’oggetto e l’illuminazione fa il resto.

In definitiva quindi si può tentare di ovviare all’impossibilità dell’uso del tatto in una mostra con degli espedienti che “avvicinino”, o che addirittura “entri dentro” agli oggetti e alle storie. L’esplorazione del dettaglio, della struttura visiva e del loro trasformarsi col gioco della luce cambia l’esperienza avvicinandola a quella del tatto, che tanto ci aiuta a conoscere e ricordare.

Html pluriservizio, una mostra “Glocale”

Stavolta non parliamo di biblioteche ma vorrei riportare l’esperienza di visita ad una mostra cittadina. S’intitola “La Grande Trieste 1891-1914”, il periodo di massimo splendore di questa asburgica città. Seppure organizzata da enti diversi, l’intento espositivo è analogo alle mostre e alle attività di una qualunque biblioteca: caratterizzare l’identità di una città e dei suoi cittadini mostrando la storia e le storie più affascinanti.

E ci riesce benissimo. Innumerevoli immagini ma anche oggetti, in particolare fotografie, giornali, riviste e strumenti a stampa, che appartengono ad un mondo ormai scomparso.
Dal punto di vista fotografico, il catalogo è impressionante: si va dalle immagini dei vari Asburgo fino ai matti reclusi che fabbricano sedie, passando per feste, eventi e più normali domeniche di passeggio sul famoso “Molo Audace”, una delle attrazioni della città, che come un dito si stende verso sud-est, indicando la lontana Costa Dalmata.
E poi le grandi compagnie di navigazione, mostrate in tutta la loro potenza con dipinti “aziendali” che ricostruiscono la flotta nel numero e nell’abbondanza di tonnellaggio. E poi i servizi collaterali allo sviluppo del traffico marittimo, le straordinarie compagnie di assicurazione.
Trieste fu il luogo in cui nacquero le principali compagnie di assicurazione italiane che poi crebbero moltissimo dopo la prima guerra mondiale divenendo le protagoniste nazionali assolute, come le “Generali”. Per simboleggiare adeguatamente l’enorme inventiva messa in campo per la diffusione e promozione della sottoscrizione di polizze, oltre gli originali dei verbali di assemblea costitutiva delle varie società, è in mostra un oggetto strepitoso:

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Si tratta di una macchina per l’emissione di una polizza infortuni grande quanto un odierno scontrino, analoga a quella che molti anni dopo si vide comparire negli aeroporti per sottoscrivere una polizza prima di farsi prendere dal panico del volo.
Come vedete, le istruzioni riportano la necessità di non utilizzare monete “storte” (sono stato dieci minuti a pensare perché le monete dovessero essere storte e per quale motivo) e di firmare lo scontrinello in uscita dalla macchina, per trasformare il pezzetto di carta in una vera polizza da tenere in tasca, per ogni evenienza.

Dal punto di vista tecnologico la mostra doveva rispondere a due esigenze fondamentali: la promozione della stessa sul web e la necessità di fornire una guida in quattro lingue. Oltre all’italiano e l’inglese, anche il tedesco e lo sloveno. La soluzione adottata non è stata un’app, complicata e di elevata differenziazione, non è stata la stampa di un catalogo o una brochure, pesante costosa e da gettare al macero appena finita la visita. I curatori si sono semplificati la vita e hanno preso una strada nuova (anzi vecchia): HTML.
In pratica hanno realizzato una semplice sito web in quattro lingue, senza tanti fronzoli e riportando esattamente il copy che è centrale nella mostra stessa, senza ampliarlo, modificarlo o fare tante presentazioni e saluti dei politici. Un sito web di servizio, perfettamente adattabile al mobile, che è anche la vetrina della mostra per la promozione web della stessa.
Poi hanno fornito in sala un wifi free, con password di accesso stampata su ogni pannello (così non devi andare a chiederla al custode, tanto la segretezza non serve a niente), con cui navigare liberi e chattare con Whatsapp tra compagni, così puoi dire al mondo che sei alla Mostra e fai promozione.
Ma siccome tutti pretendono qualcosa da portare a casa per dimostrare che “ci sei stato” e magari per rivivere le sensazioni avute quando il professore ti fa fare il tema in classe sull’argomento, hanno stampato dei blocchi monotematici da cui puoi facilmente strappare un cartoncino formato A5, il cui retro è in formato cartolina (credo che la stampa sia digitale, laser a colori).


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Niente totem, niente proiezioni, niente effetti speciali costosi e inutili. Solo due schermi con il video dell’allestimento della mostra, ben pensato e realizzato, con molte scene in stop motion. Lo scopo è: far vedere che quando si parla di cura della mostra si dice appunto CURA.

Soluzioni semplici, dal basso costo, per concentrare tutto il budget nell’allestimento dei pannelli e nell’organizzazione della mostra, impeccabile ed efficace. Pochi fronzoli, tanta sostanza, immediatezza delle storie, vera immersione narrativa. Uso dell’Html Glocale, cioè a servizio dei vari scopi sia “dentro” che “fuori”, sia nel mondo fisico che in quello virtuale. Una mostra Glocale.

In una parola: Bravi!

Biblioteche e social network

Nel report della ALA (The American Library Association) circa l’uso dei Social Network da parte delle Biblioteche Pubbliche, l’analisi ha rivelato che nel 2012 le varie piattaforme in Rete si sono dimostrate utili non solo a promuovere la disponibilità di edizioni on line ma anche per la  costituzione di una relazione di fiducia con gli utenti.

Anche negli USA, il massimo finora attuato in termini di uso dei SN consista nel:

  • promuovere eventi e contenuti on line;
  • proporre link ai contenuti via via messi in Rete;
  • ricevere feedback dal pubblico sulle iniziative della Biblioteca.

Si potrebbe dire che sia ancora poco, anzi, pochissimo. Ma non la pensiamo così. Si tratta dei primi esperimenti, condotti più che altro come “prove” e decisioni talvolta estemporanee con cui questi enti cominciano a misurarsi con una realtà completamente nuova, selezionando nel tempo una serie di obiettivi successivi.

La domanda è: il Social network serve ad una Biblioteca? Una biblioteca pubblica dovrebbe avere una pagina Facebook? E se si, perché e come e per fare cosa?

Sembrano domande banali, ma in verità non lo sono affatto perché non conta tanto la risposta (che d’istinto si vuole positiva) quanto il come queste scelte incidono sull’operatività, le scelte sui contenuti e in definitiva la personalità delle biblioteche che ne risulta e il loro rapporto con il pubblico.

Di solito si considera il problema dal punto di vista della capacità promozionale del Social Network per il soggetto che lo utilizza. E’ un approccio attivo, che associa il ruolo del Social Network a quello dei vecchi media televisivi e a stampa. Purtroppo, o per fortuna, la dinamica del fenomeno è completamente diversa. Se quindi la risposta alle domande è affermativa PERCHE’ si vuol fare promozione, allora cominciano i problemi.

I Social Network (SN) non sono luoghi privilegiati di comunicazione ma di CONDIVISIONE e CONVERSAZIONE. Noi condividiamo informazioni e storie ai nostri contatti e amici, un elenco impressionante e sempre aggiornato di eventi, idee, sentimenti e immagini della nostra vita che inseriamo in quella grande piazza locale della rete affinché tutti vedano quel che sentiamo/vediamo/emozioniamo.

Quando una Biblioteca Pubblica apre un profilo sui SN, comincia ad allargare i componenti delle sue cerchie allo scopo di essere presente nel flusso delle condivisioni dei soggetti “fisici”, ma non ha un corrispettivo feedback, cioè non riceve una cronologia di ritorno. E’ una sorta di comunicazione “a senso unico” come appunto quella della televisione. Ed è appunto del tutto asimmetrica rispetto al vero valore dei SN nella vita dei suoi componenti. E’ difficile instaurare una conversazione vera, anche se si dovesse arrivare ad organizzare un vero e proprio staff che si occupa della conversazione.

In secondo luogo occorre focalizzarsi sul CONTENUTO della conversazione. Se è ovvio che una Biblioteca non posterà foto di gattini (a meno che non si tratti di statue egizie di dee gatto o immagini litografiche sulla classificazione felina) è d’altra parte vero che lo “status” della Biblioteca nei SN si costituirà solo se i contenuti e le loro condivisioni saranno in linea con gli obiettivi della comunicazione voluti e le aspettative dei follower. Mentre il primo aspetto dovrebbe essere attentamente pianificato da parte della Direzione (e di questo parleremo dopo) è altrettanto giusto parametrarsi a quello che i follower si aspettano che una biblioteca dovrebbe fare per me che spesso è del tutto diverso da quello che si aspetta la Direzione della Biblioteca.

Proviamo quindi qui di seguito a delineare le possibili aspettative dei potenziali follower:

  • identità culturale
  • disponibilità facilitata di contenuti on line, off line, digitali e cartacei;
  • proposizione di contenuti elaborati dalla stessa biblioteca
  • servizi rapidi di ricerca e reperibilità degli oggetti
  • sale lettura comode, accoglienti e connesse ad internet
  • prestito, consegna e ritiro a domicilio dei volumi richiesti

Di contro l’offerta attuale riguarda:

  • tradizionale offerta di sale lettura e degli oggetti conservati nella biblioteca
  • disponibilità limitata di contenuti digitali offerti su piattaforme dalle capacità varie;
  • promozione di eventi e manifestazioni “one shot”

E’ evidente che, se l’elenco delle aspettative è legittimo, c’è un gap tanto vasto che si potrebbe pensare di gettare la spugna e rimandare il problema a data da destinarsi. E sarebbe un errore, poiché nelle dinamiche della rete è insito invece il processo di step by step che arricchisce la relazione e la conversazione che si instaura nei SN.

Quindi il problema si sposta ulteriormente al che fare concretamente. La risposta dovrebbe essere articolata e orientata a:

  • proposizione di eventi identitaria e culturali;
  • riproposizione di servizi possibili e incrementabili;
  • conversazione.

Il terzo aspetto è decisivo nel lungo periodo, ed è quello che andrebbe impostato per primo. E’ infatti dall’esercizio costante della conversazione che scaturiranno problemi e loro soluzioni, proposte e loro feedback con la popolazione dei follower.

Come fare?

La proposta di base considera l’apertura di una sorta di “ufficio relazioni esterne” via SN che sia capace (e libero) di instaurare conversazioni sulla base delle attività della biblioteca verso il pubblico, convergendo l’attenzione del gruppo di follower.

Per farlo occorre:

  • la configurazione di una vera identità da proporre;
  • la redazione di un programma editoriale che comprenda eventi e contenuti da proporre;
  • uno staff per la realizzazione del precedente e capace di interloquire stabilmente con le richieste dei follower.

Sono certamente impegni importanti per una Biblioteca. Non soltanto dal punto di vista delle risorse da impiegare ma soprattutto per l’approccio diametralmente opposto a quello attuale. In questo momento l’approccio è rivolto alla conservazione e alla messa a disposizione locale delle risorse culturali; l’appoccio dello Staff SN di una biblioteca dovrebbe essere quello di “gestire un’esplosione controllata” dei contenuti culturali e identitari di una Biblioteca.

Un approccio su cui avremo bisogno di riflettere attentamente.

l’HTML un magnete? Una stella, piuttosto

Fare ricerca nell’ambito della rivitalizzazione dei libri impone di estraniarsi di tanto in tanto per vedere tutto il processo dall’alto, da lontano, lontano quel tanto che basta per sentirsene fuori e guardare senza troppi condizionamenti quel che succede davvero. Capita a volte di avere un assist in questo processo. In questo caso ci è venuto da un articolo comparso sul blog di Storia Continua, che parla del futuro dei libri, e di come vi sia in atto una confusione notevole, che peraltro conosciamo bene.

La tesi fondamentale è che il linguaggio HTML sia tanto basico da attrarre come un magnete nel suo format ogni produzione di contenuti che avvenga per essere fruita sullo schermo. Un’idea tutto sommato semplice, che però ha bisogno di grandi altezze e di un punto di vista spiazzato per poter essere colta appieno, in tutte le sue conseguenze.

L’HTML nasce come linguaggio insieme al Web, negli anni 80, e si è evoluto per trent’anni. Non sono pochi ed è il filo rosso, la spina dorsale che percorre tutta la schiena del presente e futuro della rivoluzione digitale. E’ l’acronimo di linguaggio a marcatori per ipertesti”. Tutti sappiamo che si tratta di un linguaggio per la formattazione di contenuti da fruire sul Web; è una cosa tanto stranota che non ci facciamo più caso. Eppure sta tutto lì, nelle due parole: Linguaggio e Formattazione. La sua potenza è così grande che oggi la conoscenza di questo linguaggio è diffuso quasi quanto l’abilità di condurre un’automobile. E in fin dei conti un libro di carta, portato in digitale, non è altro che un contenuto che si adatta ad un nuovo formato, attraverso un linguaggio “invisibile” che lo adatta alla nuova superficie di fruizione, dalla carta allo schermo (orizzontale, verticale, desktop o mobile). Che c’è di tanto strano?

Una volta, ai tempi degli scribi, le bibbie miniate e scritte su pergamena erano tanto voluminose che dovevano stare su pesanti leggii di legno, stavi in piedi a leggerle. In pratica la versione desktop di un ebook. E chi ha avuto a che fare con una tipografia sa benissimo che esiste un linguaggio tecnico tipografico fatto di in-folio e in-quarto, fuori margine, font, inchiostrate, quartine e senza-grazie, pedici e indici, tutta roba che non sta nel nostro vocabolario quotidiano, esattamente come <head>, <body> e <div>. E’ anche vero che per cinquecento anni le tipografie si sono evolute e moltiplicate a dismisura, ma coloro che conoscono e usano l’Html oggi sono molti di più di quelli che avevano o lavoravano in una tipografia fino a trent’anni fa. Non dovrebbe questo essere considerato un vantaggio invece che una tragedia?

Mettiamoci nei panni di quelli che si misero in testa di realizzare un programma per l’edizione facile di un ebook per tutti, cioè uno standard aperto: l’epub. Siamo nel 2007 e tra di noi ci sono quelli che sanno di tipografia e di computer.  Abbiamo computer con i browser aperti che navigano in html dalla mattina alla sera. Cosa sceglieremmo? L’Html, ovviamente.  Anzi, meglio, l’Xhtml.  Fa tutto quello che ci serve: è in grado di trasformare qualunque contenuto in un oggetto fruibile su qualunque schermo, velocemente e senza problemi. Troppo facile? Forse, no. Forse è solo ovvio. Com’è ovvio che chi abbia avuto l’idea di realizzare un piccolo motore a combustione interna che brucia benzina abbia avuto l’idea di montarlo su una carrozza per sostituire il cavallo. C’è poi una così grande differenza tra carrozza e automobile? Non sono in fin dei conti la stessa cosa con due adattamenti diversi a partire da fonti di energia diverse?

In questo modo l’ebook non è altro che la stessa cosa del “book” su un supporto diverso: un monitor retroilluminato invece della carta. Tutte e due trasportabili, fruibili in ogni condizione e nessuno dei due ama l’acqua. Guarda un po’ che coincidenza.

Forse la cosa che distrae di più è che il Web fu inventato insieme all’HTML per fare “pagine” che diventarono “pagine web” e che furono subito sfruttate dalle aziende per farci la versione web dei loro cataloghi e delle loro brochure: insiemi di pagine a colori, molto coinvolgenti e molto promozionali. E allora si potrebbe dire che la differenza tra un ebook e un sito web è che il primo non cambia nel tempo, è l’opera di un autore che in genere racconta una storia, invece di una “serie di pagine che raccontano i prodotti di un’azienda”. Ovviamente la differenza si fa più sottile quando l’oggetto web è un blog, perché mettendo insieme una serie di post di un unico autore si fa un libro. E il cerchio si chiude.

Ecco perché Antonio Massara propone il concetto di Digraph, analogamente a quello che fa Hugh Mcguire col suo Webbook.

Nel frattempo, dall’altra parte del discorso, cioè da quella dei computer e di come funzionano,  Google propone un sistema operativo per computer dal basso costo fondato sul suo browser Chrome, in grado di far tutto quello che fa un normale desktop in modo più facile e veloce. Browser? Ah, si, il programma che “legge” l’HTML.

Ma allora, di che parliamo? Della stessa identica cosa: l’HTML attrae tutto perché è la versione moderna del linguaggio tecnico del tipografo per i libri, del meccanico per le automobili e del cuoco per la cucina. Oggi la stragrande maggioranza di ciò che arriva agli occhi e nella mente di un uomo da un computer passa per l’HTML, e quindi tutto ciò che vuole arrivare lì deve passarci, volente o nolente.  A questo punto, meglio volerlo, cercarlo e adattarsi nel modo migliore, adattarsi agli uomini per gli uomini.

Ma non abbiate paura, il fatto che sia così non significa che un ebook “assomiglierà” ad un sito web o ad un sistema operativo per smartphone  A parte il fatto che, progressivamente e soprattutto su smartphone, i siti web in wordpress assomigliano già molto ad un ebook. La convergenza di sistemi e oggetti diversi non deve far paura: passare da uno sgabello in legno grezzo ad una Poltrona Frau è sempre un gran piacere. C’è voluto qualche milione di anni, ma ben venga!

L’HTML, con i suoi pregi e difetti, può assumere il ruolo di linguaggio per tutti e per tutto, con le sue evoluzioni che sembrano non terminare mai, nonostante siano già trent’anni che permea l’intero mondo del Web.

Forse dobbiamo confutare la metafora iniziale. L’HTML non è un grande magnete, è piuttosto una Stella che con la sua grandissima forza d’attrazione costringe tutti i sistemi a ruotarle intorno, alcuni più vicini, altri più lontani; alcuni abitati altri deserti ma grandi e gassosi. Una stella che può diventare come un Dio per uomini primitivi, ma che è solo una formazione gassosa che sviluppa reazioni termonucleri e quindi luce e calore per gli astronomi che le conoscono bene. Noi stessi dipendiamo dal Sole per vivere, esattamente come dipendiamo dall’Html per esprimerci nel nuovo mondo digitale. E’ ovvio che tutto finisca per ruotarci attorno.

Bibliografia Palermitana del ‘600

Venerdì scorso (12.12) alla Biblioteca Centrale di Palermo è stato presentato il volume “Bibliografia delle edizioni palermitane antiche BEPA II. Edizioni del XVII secolo”, curato da Carlo Pastena, Angela Anselmo e Maria Carmela Zimmardi.

Si tratta del catalogo di tutte le pubblicazioni note stampate a Palermo nel corso di un secolo, un lavoro di grosse dimensioni a beneficio degli studiosi e della ricerca storica del periodo ponendo in essere una pietra miliare nella catalogazione delle pubblicazioni localiedito dalla stessa Biblioteca. La Bibliografia registra  3155 edizioni edite da 30 tipografi tutti palermitani,  di argomento vario, come testimonia l’annessa mostra sulla tipografia e sull’attività editoriale di epoca barocca di cui speriamo di parlare presto, in un altro articolo dedicato all’argomento.

Nel frattempo la corposa pubblicazione, in edizione digitale è disponibile QUI

Il Direttore della Biblioteca Centrale, Dott. Vergara Caffarelli, ha presentato la pubblicazione compiendo un’escursus degli obiettivi e degli intendimenti della Biblioteca per il futuro, che riteniamo importante per il progetto BookAlive, e che riportiamo quindi qui di seguito per cenni, sperando di essere quanto più possibile aderenti al suo pensiero.

 convegno biblioteca centrale palermo

Innanzitutto, il Dott. Vergara pone l’accento sul fatto che pubblicazioni come quella della “Bibliografia” sono frutto dello sforzo di una Biblioteca come la Centrale, in assenza di un qualsiasi altro soggetto che possa interessarsene, con grave danno della capacità degli studiosi di avere riferimenti per la consultazione storica e scientifica. Un effetto di quel carattere barbaro dei tempi su cui il Dott. Vergara non ha voluto porre ulteriormente l’accento. Molto più importante il fatto che la Biblioteca Centrale abbia voluto, compiendo uno sforzo non indifferente, produrre la versione a stampa oltre a quella digitale. Perchè non c’è dubbio che se il digitale è il futuro per il ruolo tipico della Biblioteca Pubblica, è anche vero che l’edizione a stampa di volumi preziosi per l’argomento, lo studio e la ricerca, rimane essenziale per la consultazione. Perchè la stampa offre l’opportunità di avere sott’occhio l’ampiezza dell’argomento trattato, potendosi valutare un periodo storico e le sue produzioni editoriali secondo diverse dimensioni, cosa impossibile o estremamente ardua con un’edizione digitale.

Lo strumento digitale tuttavia, prosegue il Dott. Vergara, è comunque il futuro, e per questo motivo è intenzione della Biblioteca Centrale dedicarsi alla realizzazione di un obiettivo vasto e ambizioso e tuttavia imprescindibile: la creazione di una  Biblioteca Digitale Siciliana . Perchè se è vero, come consta a tutti coloro che si interessano di bibliografia digitale, che questa è costituita più da un “arcipelago digitale da navigare” piuttosto che da un unico corpus librario digitale a livello europeo o mondiale, allora la Biblioteca Digitale Siciliana può ben contribuire alla numerosità e profondità di questo arcipelago di “teche” librarie digitali, offrendo la specificità tipica locale, nell’evolversi della sua storia.

Nello studiare mezzi e metodi per arrivare a quest’obiettivo, è importante non focalizzarsi su un’attività massiva di digitalizzazione, ma procedere per percorsi e scelte che avranno l’impronta delle persone che vi si dedicheranno e che condurranno il lavoro analitico.

Per questo abbiamo discusso, continua il Dott. Vergara,  con Klaus Kempf della Bayerische Staatsbiblioteche di Monaco di Baviera, incontrato di recente al Workshop BookAlive, progetto cui la Biblioteca Centrale partecipa nell’ambito del suo obiettivo, chiedendoci quale possa considerarsi la massa critica, cioè il volume di testi da digitalizzare affinche la “teca” siciliana digitale possa emergere a pieno titolo nell’arcipelago del “sapere digitale”, determinando che probabilmente un catalogo con 15.000 titoli disponibili potrebbe contribuire all’emersione dei 140 anni di storia, lo stesso intervallo temporale che ci separa da Alessio Narbone, gesuita e uno dei primi Direttori della Biblioteca Centrale, attento studioso e innovatore della materia bibliografica, promotore di una “griglia sistematica”  che curiosamente potrebbe ben figurare nella catalogazione digitale adottata in futuro.

Facciamo i migliori auguri alla Biblioteca e al suo Direttore di ben proseguire nell’obiettivo delineato, che è perfettamente in linea con quelli del Progetto BookAlive, all’interno dei quali Informamuse e la stessa Biblioteca collaborano.

Libri, TEDx e stelle marine

Nel mondo anglosassone, negli Stati uniti come in Inghilterra, le biblioteche pubbliche spesso hanno numerose dipendenze locali all’interno di una comunità. Le dipendenze hanno un numero ridotto di volumi disponibili, soprattutto di narrativa commerciale, per favorire e diffondere la lettura e l’amore verso la letteratura. Ma sono numerose, e capita spesso che piccole città con una biblioteca centrale non importantissima abbiano fino a venti dipendenze locali, disperse su tutto il territorio comunale. Una presenza capillare. Forse per questo il numero dei lettori in quelle nazioni è molto più elevato che da noi.

Ma la crisi delle biblioteche e della lettura colpisce anche quei paesi, e molte biblioteche rispondono con la chiusura delle dipendenze locali. Altre invece fanno di tutto per salvarle, considerandole centrali per la diffusione del sapere. Perchè chiudere anche solo una o due dipendenze su venticinque può essere devastante.

Il perchè è spiegato da Philip Ardagh con una piccola e gustosa storia, che ho tradotto qui per voi dall’inglese.

” … una vecchia storia (probabilmente in origine da Loren Eiseley) di centinaia di stelle marine spiaggiate per una mareggiata proprio sulla battigia.  Un uomo e il suo cane che passeggiavano di là si imbatterono in una donna intenta a gettarle in mare.  Stupito, le chiese cosa stesse facendo.  ‘Le sto mettendo di nuovo in acqua per salvarle dalla disidratazione,’ spiegò la donna.

 L’uomo rise. ‘Ma che fate?’ chiese. ‘Ci sono così tante stelle marine, non fa alcuna differenza.’

 La donna prese un’altra stella marina e la gettò in mare. ‘Lo faccio per lei,’ rispose.

 Il giorno dopo, quando la donna ritornò sulla spiaggia vide lo stesso uomo, ma questa volta con i suoi figli, e tutti erano intenti a gettare in mare stelle marine. ‘Ciao’, la salutò con un sorriso. ‘Abbiamo pensato di venire e fare la differenza per qualche stella marina in più. ‘ “

Philip Ardagh conclude dicendo che “è ‘più facile salvare una libreria che esiste ancora che cercare di farne risorgere una quando è morta.”  E questo è certamente vero.

Invece a me la storia intriga per un altro motivo: qualunque cosa tu faccia, lo fai un passo alla volta. Non puoi salvare tutte le stelle marine, non puoi entrare nella spiaggia col bulldozer e rigettarle in mare insieme a tonnellate di sabbia. Morirebbero schiacciate. Ogni stella marina si salva se te ne prendi cura, una alla volta. Così come tutti i libri si salvano se li prendi uno alla volta, li leggi uno alla volta, li conservi uno alla volta.

Noi siamo intrisi dal meme della “massa”. Produzione di massa, comunicazione di massa, istruzione di massa, ristorazione di massa, disoccupazione di massa e via così. Deleghiamo alle macchine di costruire una penna alla volta, noi le vediamo solo tutte insieme, non sono più “penne” sono “una scatola con due milioni di penne”. Il mondo invece cambia, o si salva, quando facciamo le cose una alla volta.

La stessa cosa mi è capitata qualche sera fa, quando ho partecipato alla riunione di fondazione del comitato per l’evento TEDx  a Palermo, nel 2015. Il format americano prevede un pubblico massimo di 100 persone, e già in sala ci stavamo scervellando come aggirare quel limite per i più incomprensibile, perchè a noi piacciono i grandi eventi, la folla, la grandezza, la massa. Invece quel marchio rivoluzionario che è TEDx lavora per piccoli numeri, perchè sanno per esperienza che se crei in un giorno cento innovatori sfegatati, fra cinque anni quei 100 produrranno 5000 innovatori sfegatati e 50 aziende che hanno 15000 clienti appassionati, e via così.

Convincere e istruire cento persone già vicine al cambiamento è molto più facile che farlo con uno spettacolo che intrattenga 10.000 persone che hanno altri problemi e che sono lì per divertirsi. Rischi di non produrre alcun effetto.
Perchè devi prenderti cura delle stelle marine, una alla volta. Non puoi usare il bulldozer. Devi chinarti e prenderle con leggerezza, accompagnandole in mare.

Con cura.