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Duello a tre: per un pugno di SAL!

Nel processo di finanza agevolata, per l’innovazione e la ricerca industriale nelle piccole e medie imprese (PMI), intervengono tre partecipanti: lo Stato, le PMI  e le banche.

Tutto funziona in un ciclo virtuoso di collaborazione tra le parti. Lo Stato emette un bando a valere su fondi, propri o dell’UE. Le PMI propongono un progetto e un budget di spesa. Le banche verificano la solidità economico-patrimoniale delle proponenti e valutano i progetti. Fino a capienza dei fondi, i progetti vengono ammessi a finanziamento e le proponenti ammesse a nuova verifica (essendo nel frattempo passato del tempo). Quindi, con i decreti di concessione, lo Stato dà mandato di avvio dei progetti alle PMI che eseguono. Con cadenza nota, le PMI predispongono degli stati di avanzamento lavoro (SAL) che vengono valutati di nuovo dalle banche. Ad esito positivo corrisponde l’erogazione di una porzione di contributo.

Così si procede, da un SAL al successivo fino alla conclusione del progetto. Lo Stato a questo punto acquisisce tutta la documentazione finale e avvia la verifica finale di progetto; ulteriore verifica da parte delle banche e quindi erogazione del saldo finale. Un ciclo virtuoso, fatto di collaborazione tra tre partner, Stato, PMI e banche, capace di incentivare ricerca industriale e innovazione.

La timeline

Il tempo però non gioca a favore. Un progetto di 24 mesi produce almeno quattro SAL semestrali. Ciascun SAL va rendicontato, verificato, integrato e certificato, entro 90 giorni, in modo da avere tempo per predisporre il pagamento del contributo previsto per quelle attività di progetto entro il termine del SAL successivo. In ultimo, lo Stato impiega fino a cinque anni dalla conclusione del progetto per la verifica e il rilascio del saldo.

Tutti collaborando, in sette anni al massimo il progetto è terminato e l’innovazione trasferita ad aziende e territorio. Sette anni? per un programma di investimento di appena due?

Non si finanzia, dunque, la ricerca industriale ma piuttosto la si rimborsa. Nel migliore dei casi.

Come se questo non bastasse, i partner poi così partner non sono.

Diffidano gli uni degli altri.

Si innesca in realtà un duello a tre.

Lo Stato pensa che le PMI vogliano frodare, acquisendo fondi con progetti fittizi da non realizzare. Le PMI sanno che lo Stato paga tardi e non dispongono comunque della liquidità necessaria per completare due o tre SAL di progetto. Le banche reputano lo Stato un pessimo debitore, e dunque non affidano le PMI nelle quali hanno comunque altrettanto scarsa fiducia. I tempi si allungano, l’innovazione diventa obsoleta, gli stipendi vengono ritardati, e le PMI girano a vuoto, sino al collasso.

In pratica, dei tre duellanti, uno muore a causa del coalizzarsi degli altri due. Lo Stato e le banche finiscono con il fare fuori proprio chi volevano incentivare. Non vi sembra paradossale?

Stato e banche si comportano come la guardia buona e quella cattiva.

In questo duello a tre non dichiarato, lo Stato bonariamente interviene e si dichiara pronto a rilasciare un anticipo del contributo concesso, spesso anche metà, consapevole che le PMI sono spesso patrimonializzate poco e, sotto sotto, consapevole della lentezza dei suoi procedimenti.

Quindi si fida delle PMI, direte voi. E invece no. Ben diversamente da come avviene con i progetti della UE che si fida fino a prova contraria, lo Stato esige che qualcun altro garantisca per le private PMI e quindi richiede adeguata fideiussione.

La fideiussione costa, ma molto meno di quanto costerebbe farsi anticipare la somma dalle banche, che come ho detto ben si guardano dall’affidare le PMI nei confronti di quel pessimo pagatore che è lo Stato. Quindi le PMI si impegnano, e si indebitano, a loro volta ponendo a garanzia i beni dei propri soci, che si coobbligato. Le PMI credono al progetto, e quindi procedono e fanno istanza di anticipazione.

E qui intervengono di nuovo le banche, quest’altra volta a stabilire se la fideiussione è accettabile e se le condizioni economico-patrimoniali sono adeguate all’erogazione. La guardia cattiva valuta, guarda, ispeziona, domanda, chiede integrazioni. Il tempo passa, i SAL si susseguono, e i soldi non arrivano. Ma avendo la PMI chiesto l’anticipo, nulla altro ha a pretendere fino a fine progetto, quando il saldo sarà rilasciato entro cinque anni dalla sua conclusione…solo che forse la PMI è fallita prima, portando i libri in tribunale magari lo stesso giorno in cui arriva l’anticipazione!

Penso che possiamo fare molto meglio.

Basta guardare come si fa in Europa.
Ce lo chiede l’Europa!

Antonio Gentile

La ricerca si finanzia, o si rimborsa?

La quasi totalità della ricerca industriale in Italia avviene attraverso il rimborso statale dell’investimento. Salvo quando, in condizioni particolari, lo Stato concede un’anticipazione parziale sulla base del progetto. Questo modello è stato adottato per aiutare le grandi aziende  che intendono fare ricerca finalizzata all’innovazione.

Applicare lo stesso modello ad altri casi, per esempio alle startup, conduce a paradossi che è quasi impossibile superare. Vediamo perchè.

Dal momento che si agisce ex-post, a rimborso, lo Stato si appoggia in tutte le fasi di progetto, dalla valutazione della capacità delle imprese di svolgere e beneficiare dei risultati della ricerca alla effettiva erogazione dei fondi, alle banche. Purtroppo le banche applicano le loro procedure di valutazione della situazione economico-finanziaria dell’azienda, più o meno come se dovessero concedere un fido, e finiscono con l’essere parte terza, supremo arbiter delle transazioni tra Stato e proponenti, secondo regole e tempi dettate esclusivamente dai propri tornaconti.

Quando l’azienda che investe è una startup, spesso sottopatrimonializzata,  il cerchio non si chiude e le banche si tengono stretto il vantaggioso abbattimento del costo del denaro e sotto chiave i fondi UE (Geremy, un nome per tutti) destinati alle incentivazioni delle PMI e delle startup in particolare.

Intendiamoci, le banche sono ben felici di partecipare a questo gioco, ma pioché pensano che il peggior debitore al mondo sia proprio lo Stato, non pensano nemmeno per un attimo di facilitare l’ingranaggio affidando le startup. Di giorno tessono e di notte disfano, in attesa di tempi migliori.

Nessuna startup può permettersi di condurre una ricerca industriale in cui le anticipazioni arrivano a fine progetto, le valutazioni dei SAL dopo la conclusione e il saldo del contributo entro cinque anni dalla fine del progetto. Non si può chiedere a giovani aziende composte da giovani innovatori di finanziare un’attività di ricerca con le risorse delle loro famiglie e dei loro amici.

Il modello a rimborso semplicemente non funziona.

Alle startup la scelta: rinunciare alla ricerca e al progetto, svendere la propria attività a qualcuno (sempre che si trovi) vanificando anni di sforzi, oppure entrare in quell’area grigia del “si fa quel che si può”.

Antonio Gentile